lunedì 3 ottobre 2011

Ritorno in Malawi



Situazione difficile

Sono appena tornato da una decina di giorni in Malawi dove mi sono recato a visitare i nostri centri di Kungoni e Kanengo come prima tappa del mo nuovo incarico. Il Malawi è un Paese in preda a una crisi profonda. Il primo responsabile è, a detta di tutti, il governo liderato dal presidente Bingu Wa Mutarika che, dopo un primo mandato in cui si era distinto per un lavoro ben fatto, sta ora commettendo una serie di errori grossolani a tutto campo e mostrando una distinta vena autoritaria e dittatoriale che fa pensare al vecchio dittatore Kamuzu Banda che per più di trent’anni governò il Malawi con un pugno di ferro.

Una delle prime cose che colpiscono sono le piazzole deserte di buona parte dei distributori (segno che non c’è carburante) oppure le lunghe file di mezzi (segno che qualcosa c’è o che sta per arrivare). Alcuni giorni manca la benzina, altri il gasolio, spesso entrambi. A tal punto che la gente ha trasformato l’acronimo DPP (Democratic Progressive Party, il partito al potere) in Diesel Petrol Palibe (che in Chichewa /Inglese significa “Manca benzina e gasolio”!)

Mancanza di carburante significa mancanza di trasporto e quindi difficoltà nella distribuzione dei beni di consumo con tutte le conseguenze che ne derivano. La situazione resta tesa e i 18 morti inseguito a manifestazioni popolari occorse il 22-23 luglio scorso ne sono un triste ricordo e una minaccia che si potrebbe ripetere.


Viaggio a Mua

All’indomani del mio arrivo alla capitale, Lilongwe, sono già in viaggio alla volta della missione di Mua. In compagnia di due giovani Padri Bianchi, prendiamo la strada che punta verso i lago e ci fermiamo per pranzo e una nuotatina a Senga Bay, poco distante dalla cittadina di Salima (epicentro di un forte terremoto nel 1989). La strada è ora larga e ben tenuta, ben diversa da quella lingua di asfalto che percorsi per la prima volta 29 anni fa quando, all’alba dei miei 22 anni, mi tuffavo nel mondo sconosciuto di quella che sarebbe stata la mia prima esperienza nel continente africano. I villaggi e le cittadine che attraversiamo però mi sembrano poco cambiati negli ultimi 30anni, segno che il Paese non ha compiuto grossi balzi in avanti.

Anche il lago è sempre quello, e meno male! Con i suoi circa 600 km di lunghezza e 75 km di larghezza (nel punto più largo) è il terzo bacino di acqua dolce dell’Africa e il settimo lago al mondo per estensione. Le sue acque limpide sono abbastanza sicure. Bisogna evitare alcune zone per non dover competere con coccodrilli e ippopotami o per non prendersi la bilharzia (malattia trasmessa in acqua e causata da minuscoli vermi che vivono e si moltiplicano in piccole lumache acquatiche. Il parassita entra nell'uomo attraverso i pori della pelle, annidandosi nell'intestino o nella vescica e causando dolori addominali e sangue nelle urine). Ai miei tempi ( si parla così dopo che si è superato il mezzo secolo!) si credeva che il lago Malawi fosse l’unico in Africa australe a non essere infestato da questi vermi maledetti ma ora è confermato che siano presenti anche qui, anche se non dappertutto. Una cosa è certa: in quel pomeriggio assolato un bel bagno nelle chiare e fresche acque del lago è stato una meraviglia.

Al ritorno dal lago ci fermiamo a salutare una famiglia. La signora è congolese, sposata con un ufficiale dei paracadutisti del Malawi. La mia sorpresa è stata grande perché non pensavo che il Paese avesse dei velivoli militari e invece di tenermelo per me l’ho detto all’ufficiale. Per fortuna ha preso la cosa dal verso buono e abbozzando un sorriso mi ha detto che in effetti la flotta aerea è molto ridotta ma che per lo meno un velivolo per i lanci ce l’hanno!

Mua e Kungoni

All’imbrunire siamo arrivati a alla missione. La costruzione, che risale al 1902, si trova su una collinetta, addossata alle montagne che si innalzano fino all’altopiano di Dedza. È una delle costruzioni più antiche del Paese, rimodernata una ventina d’anni fa in seguito ai danni riportati nel terremoto del 1989, su due piani e con vista a est sul lago Malawi che in linea retta dista pochi chilometri. I Padri Bianchi sono sempre stati presenti fin dalla sua fondazione e continuano ad esserlo con una giovane comunità di padri e di candidati (stagisti).

Attiguo alla missione c’è l’importante centro culturale KuNgoni, fondato nel 1976 dal Padre Bianco canadese Claude Boucher. Qui si trova una scuola di formazione per intagliatori, pittori, scultori, un museo, una galleria d’arte e una biblioteca. Recentemente è stato aperto anche un ostello per le comitive di turisti che però scarseggiano in questo periodo dell’anno.

KuNgoni è un interessantissimo esperimento di incontro, di sperimentazione interculturale, di inculturazione del messaggio cristiano nella realtà locale, di conservazione di tradizioni, danze e racconti che rischiano di scomparire. È un punto di riferimento obbligato per malawiani e non desiderosi di conoscere meglio la storia, le tradizioni, la cultura e la religione del Malawi.

Questo assume un’importanza ancor maggiore oggi in un Paese che, come molti altri,è in rapida trasformazione, esposto alla globalizzazione omogeneizzante veicolata dai media che presentano modelli lontani e alieni ma accattivanti. Nella fretta della modernizzazione a tutti i costi si rischia di buttare il bambino ( i valori della tradizioni) con l’acqua sporca (le zavorre culturali che sono ormai inutili o d’impiccio). La missione di Mua e KuNgoni sono certamente una tappa obbligata per chi visita il Malawi.

La vecchia missione

Sabato pomeriggio (24 settembre), in compagnia di Ervé, giovane candidato del Burkina Faso, parto alla volta della vecchia missione di Mtakataka, distante una ventina di km da Mua.

Percorriamo una quindicina di km in macchina che dobbiamo però lasciare sull’argine del fiume. Attraversato il corso d’acqua a piedi (per fortuna è la stagione secca) percorriamo un breve tratto di savana e dopo circa mezzora intravediamo quello che resta della vecchia missione di Mtakataka.

Costruita nel 1937, dopo aver finalmente ricevuto il permesso del capo tribù locale che in un primo momento l’aveva negato pensando che questi bianchi barbuti (all’epoca praticamente tutti i missionari avevano la barba) gli volessero portare via le terre, la missione era davvero una realizzazione ciclopica.

Milioni di mattoni furono utilizzati per costruire sotto l’occhio vigile e esperto di un fratello non solo l’imponente chiesa ma anche varie costruzioni tutt’intorno, nel bel mezzo di un territorio densamente popolato. Nel 1957ci fu una piena straordinaria del fiume e la gente fu costretta ad abbandonare la zona. L'esondazione raggiunse la missione e le acque entrarono nella chiesa riempiendola di un metro di fango per tutta la sua estensione. Forse si sarebbe potuto organizzare una gigantesca opera di pulizia ma il fatto che la gente se ne fosse andata costrinse i missionari a ritirarsi, seppure a malincuore per non tornarvi mai più.

Quando visitai il complesso nel 1983, rimanevano in piedi le case dei padri, delle suore e la chiesa.

Oggi rimane in piedi solo la suntuosa facciata come solitario testimone di un’opera gigantesca di cui fra qualche anno non rimarrà più nessuna traccia


Tappa a Balaka

Domenica pomeriggio, dopo aver salutato i confratelli di Mua, Paul, giovane missionario del Burkina Faso, mi accompagna fino a Balaka, distante un centinaio di km verso sud. Da qualche anno i Padri Bianchi hanno aperto una casa di formazione che quest’anno, all’apertura del nuovo anno accademico il 3 ottobre, vedrà raggiunta la sua capacità massima di 40 persone visto che gli studenti saranno 36 e i padri-formatori quattro.

La sera siamo invitati per la tradizionale spaghettata in casa dei Monfortani bergamaschi che ogni domenica sera aprono le porte della loro casa provinciale a tutti i religiosi presenti a Balaka.

Il giorno dopo trascorre in visite varie. Martedì mattina mi sveglio e sento di avere la febbre e un certo malessere generale. Mi viene il dubbio che sia l’inizio di un attacco di malaria, il primo dopo decenni in cui, per fortuna o per una speciale benedizione, mi è stata risparmiata questa sgradevolissima malattia. La febbre rimane tutto il giorno insieme a un senso di grande spossatezza. La sera, memore delle parole di San Paolo, mi bevo un bicchiere di vino rosso e, per essere sicuro di dormire, una bustina di Aulin. L’indomani mattina sono fresco come una rosa. Di sicuro non è malaria; sia quel che sia, afferro al volo un passaggio per Kanengo, un sobborgo di Lilongwe, distante circa 170 km, dove arrivo poco prima di mezzogiorno.

Nei pochi giorni che vi trascorro ho anche occasione di incontrare i cari e simpatici Stefano e Francesca; una giovane coppia di Torino, innamorati dell’Africa che vivono qui in Malawi quando non sono in giro con clienti con cui condividere la loro passione e le loro conoscenze. Per conoscerli meglio date un’occhiata al loro sito: www.africawildtruck.com

Express bus

Dopo alcuni giorni con la comunità di Kanengo dove i padri si occupano della parrocchia, di un centro di formazione e per i nostri studenti e di un centro di riflessione teologica e sociale, mi accingo a ripartire per Lusaka. Distanza: poco meno di 700 km. Richiedo un biglietto su un autobus espresso, il migliore che ci sia. Il prezzo è ragionevole: attorno alle 30 euro. In mente ho gli autobus che percorrono Maputo- Beira o Johannesburg -Maputo ma la realtà locale-me ne accorgerò a mie spese- è ben diversa. La partenza è prevista per le 6 del mattino, dal terminal degli autobus che è una zona all’interno del grande mercato di Lilongwe. Nonostante l’ora mattutina, il posto pullula di gente e la prima cosa che uno sente è una terribile puzza che poi si spiega alla vista di cumuli di pesce secco che stanno andando a ruba. Il bus c’è, con qualche raro passeggero. Ci sono un paio di signorine europee che mi salutano (ho osservato più volte questo fenomeno: quando sei in condizioni di netta inferiorità numerica ti viene naturale sorridere e attaccare bottone con gente che, esternamente, ti assomiglia. Come per rassicurarci, pensando che in caso di necessità almeno tra noi “simili” ci aiuteremo. Interessante fenomeno sociologico su cui riflettere). Una prima occhiata al mezzo mi dice che qui il lusso, se c’è stato, è da un bel po’ che non è più di casa. Salgo, senza che nessuno mi chieda nulla, (e nessuno lo farà mai per tutto il viaggio. Forse da queste parti è impensabile che un bianco salga sull’autobus senza aver pagato il biglietto. Altro fenomeno interessante). L'interno lascia molto a desiderare e mi stupisce che sotto ogni sedile sono stipati degli imballaggi di Coca e Fanta. Tutto fa presumere che sarà un viaggio con zero comfort e di molta fatica.

L’autobus parte puntualissimo, aprendosi faticosamente un varco tra mucchi di pesce essiccato e una folla vociante. Le mosche, per fortuna, dormono ancora. Il viaggio fino al confine (100 km circa) è rapido e indolore ma una volta arrivati si perdono due ore senza sapere perché. Il motore rigorosamente acceso, l’autista sparito. Scambio due chiacchiere con le ragazze. Sono due infermiere finlandesi in Zambia per tre mesi per un programma di scambio tra i due Paesi, di ritorno a Lusaka dopo qualche giorno al lago. Mi chiedono se so a che ora arriveremo. “Alla fine del viaggio” rispondo, e capiscono che non è una battuta.

Dopo il confine ci fermiamo in una cittadina sciatta e scialba come tante, Chipata, per quasi due ore. Motore sempre acceso. Si ignora la ragione di una sosta così prolungata. Alle 11.30 si riparte. Le ultime parole famose: “Signori, ci fermeremo solo a Lusaka (distante 600 km) a meno che qualcuno di voi stia per morire”. Dopo un po’ smetto di contare le soste. Il pullman è mezzo vuoto per cui l’autista si ferma ogni volta che vede un gruppo di persone in attesa. L’espresso si trasforma inesorabilmente in accelerato.

Comincia a far caldo e l’aria condizionata ci viene da tutti i finestrini aperti. Anche la polvere, bestioline di vario tipo e sapori e odori a volte gradevoli, altre decisamente no. Ad un tratto l’autista ferma il mezzo ma non arresta il motore. Il suo assistente apre il vano motore (all’interno dell’autobus!), armeggia con una chiave inglese e all’improvviso fuoriesce uno sbuffo di vapore seguito da un’abbondante schizzo di acqua bollente. Preoccupato, gli chiedo se dobbiamo cominciare a tagliare dei rami per improvvisare delle capanne onde passare la notte. Mi sorride dicendo che il motore è sanissimo; aveva solo bisogno di “un salasso”. Incredibilmente i fatti gli daranno ragione.

Abbiamo accumulato due ore di ritardo e siamo in piena boscaglia. Qui e là si intravede il chiarore di qualche lampada a petrolio.Il cielo è scuro e solcato da bagliori di lampi. Cala improvvisa la notte e comincia a piovere. I tergicristallo non funzionano. Così ogni volta che incrociamo un veicolo l’autista deve praticamente fermarsi perché non vede nulla. Ma c’è perlomeno una grossa consolazione. Non sono mai riusciti a far funzionare la radio a bordo e così siamo scampati al tormento di ritmi frenetici sparati a tutto volume durante le interminabili 14 ore di viaggio. Sono infatti le 8 di sera passate quando l’autobus si arresta in quello che sembra un girone infernale dantesco e che invece altro non è che il terminal degli autobus di Lusaka. Non ho più l'età per fare il boy scout.

domenica 18 settembre 2011

Un nuovo capitolo

Nuovi inizi a Lusaka (Zambia)

Dopo gli ultimi mesi di andirivieni, con una puntata di 4 settimane in Italia a luglio e una a Londra, caratterizzata da una girandola di visite, incontri e piacevolissime occasioni di festa con amici vecchi e nuovi, e un soggiorno di un mese a Beira, eccomi a Lusaka, capitale della Zambia. Sono arrivato una settimana fa e sono alloggiato al centro “Fenza” che è il risultato di un iniziativa dei Padri Bianchi in collaborazione con la Chiesa in Zambia. Aperto nel marzo del 2007, ha tre scopi principali : quello di agevolare la riflessione tra fede e cultura, di stimolare l’incontro tra cristiani appartenenti a diverse denominazioni e persone di religioni differenti e infine quello di mettere a disposizione del pubblico i vasti archivi e il considerevole numero di volumi raccolti (e a volte anche scritti) dai Padri Bianchi in 120 anni di presenza missionaria in questo paese. (Vedi sito, in inglese, www.fenza.org)

Nuovo incarico
Questa sarà la mia nuova sede a partire da gennaio prossimo, dopo che avrò finito di dare un corso all’Università Cattolica di Beira che inizia ai primi di novembre, fatto i bagagli e detto addio alle persone care. La ragione di questo mio spostamento è da cercare nel fatto che da qualche anno i Padri Bianchi hanno collocato i temi di giustizia e pace, del dialogo con le altre religioni e con le culture locali, e del rispetto per il creato, al centro della loro ragion d’essere missionari in quest’Africa che cambia.
Si avverte anche il bisogno di coordinare gli sforzi delle persone che lavorano in questo ambito e di raggiungere e coinvolgere il maggior numero di confratelli ed è in questo senso che, alcuni mesi fa, mi è stata fatta la proposta di svolgere tale ruolo di coordinatore. Fin dall’inizio era chiaro che questo avrebbe implicato un trasferimento e quindi lasciare il Mozambico e ricominciare daccapo in un Paese dove non ho mai lavorato prima. Ho accettato questa sfida che, anche se richiederà un certo sforzo di riadattamento, mi permetterà, spero, di svolgere un’attività più rilevante e appagante di quanto fatto negli ultimi tempi. Da una parte mi dispiace lasciare il Mozambico dove ho iniziato come giovane prete nel 1988 e dove avevo un bel giro di amici e conoscenti , unitamente a tanti ricordi. D’altra parte il mio contributo all’Università Cattolica può essere dato da altri e anche il mio sostegno all’orfanatrofio Santi Innocenti (che intendo comunque continuare a distanza) non è fondamentale visto che l’attività viene portata avanti dalle suore e del personale sul posto.

Primi passi
Una delle prime cose in programma e la ragione fondamentale di questo viaggio è quella di visitare tre dei nostri centri che da alcuni anni si occupano degli aspetti sopra menzionati per rendermi conto sul posto di cosa si sta facendo e per vedere se esiste la possibilità di una maggiore collaborazione fra le tre entità . Oltre a FENZA, c’è il centro per le questioni sociali di Kanengo, vicino alla capitale del Malawi, Lilongwe ( www.cfscmalawi.org )e il centro culturale di Mua, Kungoni (www.kungoni.org ) Dal 20 fino all’inizio di ottobre mi fermerò una quindicina di giorni in Malawi e trascorrerò il resto del mese di ottobre qui a Lusaka. È la terza volta che passo per la capitale, che con quasi un milione e mezzo di abitanti è anche la maggiore città dello Zambia. Lusaka si trova su un altipiano a circa 1200 metri (anche se non si direbbe) e dista da Beira circa 1300 km. Il clima è molto più secco e decisamente più fresco che quello sulla costa del Mozambico. Generalmente settembre è l’ultimo mese della stagione secca e fredda che comincia a fine maggio. Durante questi 4 mesi non cade una goccia di pioggia e il paesaggio diventa arido e brullo, con nuvole di polvere che si alzano durante le giornate ventose e che avvolgono il paesaggio in un manto giallastro.
Dopodomani (20 settembre)qui si vota: la corsa è tra il presidente al potere, Rupiah Banda e il suo partito MDM e Michael Sata , il rappresentante del partito d’opposizione, il Fronte Patriottico. La situazione sembra calma; forse qualche problema potrebbe sorgere se con lo spoglio delle schede si spargeranno voci di brogli elettorali. Per ora gli unici problemi sono degli ingorghi stradali quando i sostenitori di uno o dell’altro partito improvvisano danze e canti di incitamento per i propri beniamini negli incroci più trafficati. Staremo a vedere.

venerdì 20 maggio 2011

Viaggi apostolici (o quasi)


Seminario a Johannesburg

Aprile e maggio sono stati mesi di spostamenti dove ho unito l’utile al dilettevole. Sono partito da Beira alla volta di Johannesburg il 4 aprile per partecipare ad un seminario sulla prevenzione degli abusi sessuali dei minori da parte di persone negli ambienti religiosi e in particolar modo tra i Padri Bianchi nella triste eventualità che affiorino casi del genere tra i nostri ranghi.

Questa gravissima piaga che ha rovinato migliaia di persone e che è un dramma e causa di un danno enorme per la Chiesa, su tutti i piani, non è ancora sanata e regolarmente emergono casi nuovi, con minor frequenza in questa parte del mondo ma forse perché il fenomeno è tenuto nascosto come lo fu da noi fino qualche tempo fa. Ad ogni buon conto la sveglia è suonata da un pezzo per cui dobbiamo sapere con esattezza cosa bisogna fare nei vari casi concreti e il seminario ci ha dato qualche informazione pratica su come procedere.



Festa in spiaggia

Dopodiché è stato il momento di qualcosa di molto più allegro e rincuorante: un matrimonio. Anzi, a dire il vero Marco e Sara si erano sposati qualche giorno prima in una cerimonia riservata per soli intimi ma hanno voluto fare una grande festa per parenti e amici sulla spiaggia, con tanto di benedizione solenne. Piccolo particolare: la spiaggia prescelta era a 700 km da Johannesburg dove abitano e in un altro Stato, guarda caso il Mozambico!
Beh, è stato impegnativo ma divertentissimo. Non è mancato nulla: pioggia (insolita per quel periodo dell’anno), gente che si è insabbiata per ore, lavori in corso che hanno reso il viaggio interminabile, un paio di feriti nel preriscaldamento di quella che doveva essere una memorabile partita sulla spiaggia e che in conseguenza non c’è mai stata visto che abbiamo dovuto correre al primo ambulatorio che si trovava a una mezzora di fuoristrada. Il tutto
comunque affrontato con grande spirito, un sacco di risate e sempre una birra fresca a portata di mano. La maggior parte degli invitati erano giovani e questo ha trasformato il fine settimana in una grande festa non stop.

Giovedì santo in autostrada

In queste occasioni il tempo fugge in un modo impressionante e in men che non si dica era già la settimana santa. Mercoledì ho aiutato per le confessioni un confratello irlandese, Raymond, che è responsabile di una parrocchia a sud Johannesburg abitata in prevalenza da persone di origine indiana. L’indomani ci mettiamo in strada alle 8 per andare a celebrare la messa del crisma con l’Arcivescovo e gli altri preti dell’arcidiocesi prevista per le le 10. Mi stupisce che invece di una macchina si prenda un camioncino che comunque esternamente non dà preoccupazioni. Ray mi racconta una lunga storia il cui succo è che la sua vettura è nell’officina di un amico che gli ha prestato il camioncino. Gli faccio notare che il motore fa uno strano rumore e Ray annuisce, maledicendo l’amico meccanico che gli rifila sempre dei catorci e augurando che il motore esploda appena arrivati nel parcheggio dietro la cattedrale dove lo abbandonerà al suo destino. Appena proferite queste parole sentiamo una forte esplosione e vediamo una fumata nera uscire dal vano motore. Fine del camioncino. E della nostra messa del crisma col vescovo. Vi risparmio i dettagli della lunga attesa ai bordi dell’autostrada e tutto il cinema che è seguito. Solo verso le 2 del pomeriggio, stanchi e affamati raggiungeremo una delle nostre case.

Veglia pasquale a Beira

Il venerdì santo riparto per Beira. Il volo con un piccolo aereo della Lam sostituisce la Via crucis in tutti i sensi: come sofferenza e come preghiera. Di notte comincia a piovere e continua fin verso mezzogiorno. È la coda della stagione delle piogge che è agli sgoccioli. Celebro la vigilia pasquale con un gruppo di 600 giovani legati alla comunità di Sant’Egidio che è particolarmente attiva anche per la prevenzione e la cura dell’AIDS. Il cielo minaccia pioggia e al posto di sistemarci comodamente all’aperto, e al fresco siamo costretti, dopo la cerimonia del fuoco, a radunarci in un salone che seppur grande è stipato in ogni ordine e grado. In pochi minuti l’aria diventa rovente. Trascorro le due ore seguenti con un ventilatore che mi spara addosso un vortice di aria calda e che comunque mi permette di non squagliarmi come le candele sull’altare.

Ritiro in Zambia

Dopo aver moderato l’assemblea dei Padri Bianchi in Mozambico la prima settimana di maggio, sono di nuovo in partenza. Questa volta la destinazione è Kasama, nel nord dello Zambia, non lontano dalla frontiera con la Tanzania dove oltre a una parrocchia in mano nostra c’è anche la sede di uno dei nostri noviziati. Lo scopo è quello di predicare il ritiro annuale a un gruppo di confratelli che lavorano in Zambia.

Il nord dello Zambia ha sempre avuto una forte presenza di Padri bianchi fin dal nostro arrivo in 1895. Il primo Vicario apostolico della zona (equivalente di un vescovo) fu il mitico Padre bianco Dupont (a sinistra, nella foto), conosciuto anche come Moto Moto (fuoco-fuoco) forse per la sua passione per la caccia o per il suo temperamento focoso o perché aveva sempre una pipa accesa fra i denti. Un altro nomignolo che gli diedero fu quello di “Re dei briganti”. Caso più unico che raro, durante un periodo di interregno, fu nominato grande capo dell’etnia dei Bemba.

Il paesaggio è molto diverso da quello a cui sono abituato nella zona costiera di Beira e dintorni. Le piogge qui sono terminate da un pezzo e il paesaggio è quello della tipica savana africana che adesso si va tingendo di una tonalità che varia dal giallo al rosso. Le prossime gocce di pioggia cadranno solo a novembre. Il tempo è sempre tiranno e appena finito il ritiro si riparte in macchina per la capitale, Lusaka, mille km più a sud. I primi 500 km sono pieni di buche , il resto è su una strada eccellente ma di una noia mortale. Non c’è nulla che attiri l’attenzione o che aggradi lo sguardo. Non si vede anima viva e nemmeno un animale. Se si potesse, sarebbe mille volte meglio volare sopra queste lande piatte e monotone.

Foratura in pista

Scrivo queste poche righe da Lusaka, in attesa del volo che mi porterà a Johannesburg e in seguito a Beira. Il nostro aereo (Air Namibia) sta volteggiando sopra l’aeroporto da una buona mezzora. Non può atterrare perché c’è un altro velivolo bloccato in fondo alla pista. Stava prendendo la rincorsa per decollare quando… ha bucato! È da un po’ che stanno trafficando per cercare di riparare la gomma ma penso che abbiano desistito. Dall’estremità opposta dell’aeroporto è partito un trattore che a passo di lumaca si sta avvicinando all’aereo per, spero, rimorchiarlo fuori dalla pista. È un peccato che non abbia una buona telecamera per riprendere la scena. Raccontata così non mi crederete mai.



sabato 23 aprile 2011

Buona Pasqua!

A tutti voi i miei migliori auguri di Buona Pasqua. Il Signore risorto vi dia la sua pace: nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, ovunque siate e in ogni momento della vostra vita

Sono tornato ieri a Beira dopo quasi tre settimane di assenza, un periodo ricco di esperienze, incontri e contatti umani. Conto di parlarvene un po' su questo spazio nei prossimi giorni.

giovedì 24 febbraio 2011

Divagazioni a sud dello Zambesi

Ciao a tutti e rieccomi dopo una lunga pausa. Sono a Beira, è ricominciato l’anno accademico ed ho ripreso i miei impegni con l’Università Cattolica dove insegno introduzione alla sociologia e all’antropologia culturale nella facoltà di medicina oltre ad alcuni seminari. Ultimamente sono stato un po’ latitante nell’orfanatrofio dove cerco di dare una mano a Suor Delfina e alla sua equipe, ma il prossimo mese non solo spero di aver un po’ più di tempo a disposizione per stare con i ragazzi ma anche di scattare qualche foto e mandare qualche aggiornamento agli amici che si sono offerti di aiutare. Il sito del centro www.santinnocenti.org adesso ha anche la sezione in portoghese e in inglese. Va un po’ rivisto e soprattutto aggiornato ma ciò richiede un po’ di quel bene prezioso che sembra sempre scarseggiare: il tempo. A proposito di tempo, continua a fare caldo anche se le massime sono attorno ai 30-33 e non più ai 37-38 di dicembre- gennaio. Non ha piovuto molto finora qui nella zona di Beira ma, visto che la stagione delle piogge durerà ancora un mese o più, è meglio aspettare prima di tirare conclusioni affrettate.

Il cane “portalegna”

Strettamente legata alla scarsità di precipitazioni in alcune zone vicine, un paio di settimane fa un gruppo di persone ha notato una donna che tornava dai campi con una fascina di legna in testa e un bambino sulla schiena. Fin qui tutto normale. Quello che ha causato sorpresa e costernazione è stato il cane della signora che la seguiva, portando anche lui una piccola fascina che la donna gli aveva collocato sul dorso, fissandola con un panno. Apriti cielo! (anzi...chiuditi, visto il seguito). Quella vista insolita, che in altri momenti avrebbe potuto suscitare ilarità, è stata interpretata con sospetto. Scatta subito la denuncia alle autorità tradizionali (una specie di capi-villaggio anche se in effetti qui di villaggi non ce ne sono più) che convocano la tapina e dopo un breve interrogatorio la pronunciano colpevole di aver causato la “chiusura del cielo” a causa di un gesto “contro natura”. Viene subito organizzata una cerimonia (che spero di potervi raccontare nei dettagli nella prossima puntata)per rappacificarsi con gli spiriti, offesi da cotanta temerarietà, e la tapina deve pagare una multa. La pioggia però si fa ancora attendere e c’è già chi dice che è per colpa della cerimonia mal fatta mentre altri sostengono che la vera strega è la suocera della donna, relale mandante del sacrilegio (nel senso che ci sarebbe lei dietro l’idea del cane” portalegna”) e capace di ben altri sortilegi. A me verrebbe voglia di andare a congratularmi con le due donne per la trovata e di pagargli da bere ma son sicuro che causerei un putiferio per cui mi limito a registrare l’accaduto.

Permesso di soggiorno

Tempo fa avevo menzionato che il costo annuale del permesso di soggiorno (che si chiama DIRE e che tutti i cittadini stranieri devono avere) era passato da meno di 50 euro a 500. Dopo tante proteste da parte di alcuni ambasciatori, il governo ha voluto mostrare di fare uno sforzo ma il monte ha partorito un topolino. Dato anche il consolidamento del metical (moneta locale) sulle monete principali (strano ma vero!) il DIRE costa adesso 450 euro. Per quel che riguarda i missionari (che normalmente non sono qui per fare affari) si dice che il nunzio apostolico si sia dato un po’ da fare mentre pare che la cosa non stia molto a cuore all’episcopato mozambicano che, non solo non ha mai scucito un centesimo per aiutare i missionari ma che addirittura, come nella nostra diocesi, ci fa pagare anche l’euro del documento che ci viene rilasciato in segreteria e che dobbiamo poi presentare all’immigrazione. Probabilmente anche questo rientra nella categoria “Cooperazione tra le Chiese”…

Schede sim sì, registrazione no

Qualcuno si ricorderà che ai primi di settembre dell’anno scorso ci furono delle sommosse popolari, soprattutto nella capitale, Maputo. La polizia sparò ai manifestanti e 13 persone persero la vita oltre a centinaia di feriti per colpi di arma da fuoco. Le autorità accusarono gli organizzatori della rivolta di aver organizzato la guerriglia urbana a colpi di sms. Fino a quel momento chiunque poteva comprare una scheda telefonica senza presentare la minima documentazione. Come reazione immediata il governo decretò che tutti i possessori di una scheda telefonica dovevano registrarla entro due mesi. Ora, per chi ha un minimo di conoscenza delle difficoltà tecniche e logistiche esistenti in Mozambico, fu facile predire che si trattava di una “mission impossibile”. E così fu: dopo due mesi pare che nemmeno l’1% degli utenti di Mcel e Vodacom si fossero dati la briga di recarsi ai centri di registrazione . E così il governo si vide costretto a rivedere i suoi piani ma ancora una volta in maniera totalmente non realistica: il termine ultimo venne infatti fissato per il 7 gennaio, appena dopo le vacanze natalizie che qui coincidono con quelle estive. La pena per chi non si fosse “legalizzato” era il blocco della scheda. Inutile dire che gli zelanti furono ancora meno. E così, arrivati al 7 gennaio e senza nessun risultato, il Governo decise di fare la sola cosa possibile: lasciar perdere. L’unica conquista è quella che ora, se si compra una scheda sim per strada senza registrarsi tramite presentazione di un documento valido, non si possono fare chiamate ma solo riceverle. Ma per l’esorbitante somma di 20 meticais (meno di 50 centesimi) trovi un ragazzotto che è capace di sbloccartela senza andare a far le code nei negozi autorizzati. Questa sì che è una rivoluzione popolare, non violenta ed efficace. Forza ragazzi, “A luta continua!”

Anno di Machel

A proposito di rivoluzioni, il governo ha decretato che quest’anno sarà l’anno del primo presidente del Mozambico, Samora Moises Machel. Venticinque anni dopo la misteriosa morte del rivoluzionario, vulcanico e molto controverso statista, è cominciato il tentativo di “canonizzarlo”. In questi casi si rischia o di cadere nella vuota retorica o di rivisitare la storia, passando sopra i molti errori e le atrocità commesse dai rivoluzionari durante il tentativo di imporre il marxismo leninismo duro e puro nella decade che va dal ’75 all’85. Mi auguro che l’iniziativa susciti dibattiti interessanti, capaci di gettare un po’ di luce su un recente passato che ha inferto al popolo mozambicano delle profonde ferite non ancora curate. Non coltivo però molte speranze: gli storici di professione non abbondano di certo da queste parti. Per chi conosce il portoghese segnalo uno dei primi contributi alla riflessione: http://macua.blogs.com/moambique_para_todos/2011/01/reflectindo-sobre-o-ano-samora-machel-12.html

venerdì 14 gennaio 2011

Felice 2011

Un carissimo augurio di un felice 2011 a tutti voi. Che il Signore vi aiuti a scoprire quello di cui avete veramente bisogno per essere felici e ve lo conceda.

Le festività sono trascorse bene e in fretta. Natale a Beira sotto un sole cocente, con 40° gradi all'ombra. Il 24 sono stato invitato a cena da amici per quella che pensavo fosse una cosa familiare. No avevo però contato con la famiglia estesa: eravamo più di 100! E' stato molto bello: la compagnia, il cibo, le danze. Peccato che ho dovuto andarmene presto perché il giorno dopo avevo la messa alle 8 con il battesimo di 30 bambini nella parrocchia di Sao Benedito di cui fui parroco più di 20 anni fa. La cerimonia si è trasformata in un'autentica sauna con le candele che si scioglievano, per il gran caldo, nelle mani dei padrini.
Il 27 sono partito per climi più freschi. Johannesburg, con i suoi 1700 metri di altezza godi di un clima più vivibile di quello di Beira, per lo meno in questo periodo. Nella metropoli sudafricana ho festeggiato l'arrivo dell'anno nuovo e sono ripartito il 5 alla volta di Maputo per recuperare una macchina di seconda mano e portarla 1200 km più a nord, su a Beira.
Chiaramente il veicolo non era ancora pronto, malgrado ci fossimo accordati all'inizio di dicembre. Le scuse erano pronte, ovviamente: le feste, le ferie, il caldo, la pioggia... ("ma volete anche l'aria condizionata che funzioni?" "Beh, vedi tu, è vero che andiamo al nord ma per arrivare al Polo ci sono altri 15.000 km!") Niente di nuovo insomma. Finalmente la macchina era più o meno pronta e d è cominciato il viaggio, punteggiato da varie tappe in lacuni splendidi tratti della costa mozambicana. E così, una settimana dopo mi trovo ancora a 500 km da casa ma oggi è l'ultimo giorno. Non solo son passate le feste ma son finite anche le ferie per cui da lunedì si torna nel caldo soffocante di Beira dove, per qualche settimana ancora, non ci sarà da stare freschi!

venerdì 3 dicembre 2010

Incidenti e barbarie

L’occasione per questa amara riflessione mi viene da un paio di incidenti avvenuti sulla strada nazionale numero 6 che passa a 100 metri da casa nostra, e che è una delle principali arterie del paese, e da quello che è successo sul luogo dei sinistri.

In Mozambico non ci sono molti veicoli, se facciamo il paragone, per esempio, col vicino Sudafrica, eppure regolarmente succedono delle stragi sulle strade. Le cause le conosciamo: educazione civica e stradale a livello zero, mercati e mercatini superaffollati e spesso non segnalati a bordo di strade dove sfrecciano a tutta velocità i sempre più numerosi bisonti, la mancanza di dissuasori efficaci per la riduzione della velocità, come dossi artificiali, mezzi sgangherati e privi della più elementare manutenzione, spesso stracolmi di persone che viaggiano in formazione “a grappolo”. Purtroppo, a tutto questo caos, ci si fa lentamente l’abitudine.

Quello che invece continua a farmi fa inorridire è che sulla scena degli incidenti appaiono sempre frotte di sciacalli, pronti ad approfittare al massimo della situazione. Così, mentre uno dei camion si incendiava, dopo averne tamponato un altro fermo in mezzo alla strada e nove persone bruciavano vive, intrappolate nella cabina dove normalmente avrebbe dovuto esserci solo l’autista, un gruppo di presenti si dava da fare per saccheggiare quello che c’era a bordo dei mezzi. E purtroppo questa barbarie non si ferma dentro i confini del Mozambico. Tempo fa la figlia di amici tornava dal Sudafrica, dove era andata a far compere, insieme al fidanzato. Il loro mezzo è stato coinvolto in un grosso incidente, la macchina è uscita di strada e i due sono stati sbalzati dal veicolo. Nel giro di pochi minuti, alcuni abitanti del posto stavano facendo man bassa delle mercanzie sparpagliate sulla sede stradale e dei beni personali dei malcapitati viaggiatori. La ragazza giaceva svenuta nel prato vicino alla strada. Qualcuno, credendola morta, le ha sfilato di dosso il vestito che indossava per rubarlo.

La cosa si è ripetuta sotto i miei occhi alcune settimane fa quando un grosso camion ha sbandato ed è uscito di strada a un paio di chilometri da casa nostra: in men che non si dica c’era una folla che rubava i sacchi di granoturco che trasportava. Più tardi si è saputo che avevano alleggerito del portafoglio e del cellulare l’autista rimasto contuso.

Che fare? In caso di disastri naturali non è raro che si dia alla polizia e all’esercito l’autorizzazione di sparare a vista sugli sciacalli. Ma qui non c’è niente di “naturale” e in ogni caso la polizia arriva sempre sul luogo a saccheggio compiuto