Ieri è stata una giornata molto calda a Maputo, con una
temperatura percepita attorno ai 40°. Avevo un appuntamento all’Ufficio
immigrazione per le 12,45 (certamente non l’ora più fresca del giorno). Dopo
aver raccolto gli ultimi due documenti che mancavano, mi presento in bermuda
fino al ginocchio (più che dignitosi) e maglietta. All’entrata c’è un addetto alla sicurezza che
controlla la temperatura corporea. Mi squadra e mi dice che non posso entrare. Lo guardo
allibito egli chiedo perché. “Perché qui gli uomini entrano solo con i
pantaloni lunghi” mi risponde. In quell’istante mi ricordo che in Mozambico
entrare in un ufficio pubblico richiede lo stesso abbigliamento che per un
luogo di culto.
Venditore di ricariche per cellulari |
Entro e mi trovo in uno stanzone coperto da lamiere ondulate.
Mi metto in fila davanti a un tavolino dov’è seduto un funzionario. Il
pavimento è in cemento ma l’area davanti alla scrivania è una buca rettangolare
piena di sabbia (come per il salto in lungo) e ancora stamattina me ne sto
domandando la ragione. Non ci sono numeri da staccare all’entrata per cui si
avanza in una fila più o meno ordinata ma costantemente “attaccata” ai lati dai
soliti furbi che vengono regolarmente respinti dal funzionario ma che
esercitano una costante azione di disturbo. Di conseguenza il suo lavoro è
pesantemente rallentato e la fila avanza a passo di lumaca.
Dopo circa tre quarti d’ora consegno il tutto (una decina di
documenti) e tiro un sospiro di sollievo perché mi si dice che non manca nulla.
Adesso si tratta solo di aspettare per la foto segnaletica, le impronte
digitali e, chiaro, il pagamento. Mentre aspetto su una panchina di ferro
surriscaldata (ormai l’impressione è quella di essere in un bagno turco) vedo passare una giovane coppia di portoghesi:
lui in bermuda come me e lei con dei pantaloncini striminziti. Mi dico che la
legge è per tutti o per nessuno e procedo, sempre tra l’indifferenza generale,
a sfilarmi i jeans e a sentirmi subito meglio. Sono ormai le 16 e 30 e mi sto
quasi appisolando su una panchina nella sezione dove possono entrare solo i
funzionari e quelli che hanno consegnato le pratiche quando qualcuno si avvicina chiedendomi che fine
hanno fatto i suoi pantaloni. Riconosco Erminio che mi spiega che deve prendere
un chapa (minibus che sostituisce gli
autobus che praticamente non ci sono) e tornare a casa perché la sua giornata è
finita. Restituisco i jeans corazzati, pago, ringrazio per l’assistenza provvidenziale e suggerisco un piccolo
miglioramento: tessuto più leggero e niente zip o bottoni, solo un elastico per
tutte le taglie. Erminio dice che non è una brutta idea e ci penserà.
Un chapa. Questi minibus, omnipresenti, garantiscono il trasporto urbano in quasi tutte le città africane |
Ormai verso le 5, e quando penso che oggi non ce la farò, mi
chiamano per terminare la pratica. Al momento del pagamento estraggo i contanti
per infilarli in una delle casse automatiche ma mi viene deto che è rischioso
perché dopo le 5(!) le casse sono piene (!) e rischio di non poter concludere
la transazione. L’idea di un’altra odissea mi fa velocemente estrarre la carta di
credito che per fortuna viene accettata dal sistema. Al ritorno a casa dopo una
doccia ristoratrice e un’abbondante reidratazione, trovo un piatto di penne al
ragù e un bicchiere di Vermentino della Sardegna che mi riconciliano con il mondo.
Finisce così un’avventura cominciata a giugno per
raccogliere tutti i documenti necessari ad ottenere un visto di lavoro per il
Mozambico. Senza contare le ore che questo ha richiesto c’è il costo: 350 euro per
il visto e 100 per la traduzione asseverata del certificato penale e per
fortuna un amico notaio ha regalato un paio di autentificazioni che sarebbero
certamente costate sulle 200 euro. Una volta entrati nel Paese si hanno 30
giorni (compresi sabato, domeniche e festivi) per ottenere un’estensione
annuale del visto. Questo comporta processioni varie tra Nunziatura,
Arcidiocesi, Ministero della Giustizia e degli Affari Religiosi per poi
approdare al famigerato Ufficio Migrazione. Qui, dopo la gimcana descritta
sopra e dopo pagamento di altre 450 euro più l’inevitabile multa che il
richiedente deve pagare perché è quasi impossibile avere tutto entro i 30
giorni previsti, finalmente si ha un pezzo di carta nel passaporto che ti
permette di stare tranquillo per un anno. Ad aggravare il problema per noi religiosi è
il fatto che tutto deve passare dalla nunziatura a Maputo per via di un
concordato firmato nel 2019 e che secondo me, memore di quello che era l’iter
nel passato, ha solo complicato le cose. In ogni caso, anche se non è un'esperienza piacevole, ho provato sulla mia pelle, anche se in forma minima e con disagio sopportabile, quello che milioni di persone devono affrontare in tutto il mondo per entrare e rimanere legalmente in un Paese che non è il loro.
Una banconota di mille meticais. Un euro vale circa 75 meticais (plurale di metical) |
Qualcuno si domanderà perché i missionari abbiano bisogno di
un visto di lavoro dato che non solo non vengono pagati dalle diocesi che hanno
grossi problemi anche solo a stipendiare i preti diocesani, ma in genere
aiutano la realtà in cui operano tramite progetti e donazioni. Purtroppo questa
è al momento la situazione per cui il visto ha lo stesso prezzo sia per
qualcuno che lavori per una grande multinazionale petrolifera ( che oltre a
percepire un ottimo salario viene spesato dall’impresa) che per uno che faccia sostanzialmente
del volontariato.
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