giovedì 14 gennaio 2010

Ozi johannesburghesi

Da qualche giorno sono ospite di Piero e Carmen nel quartiere di Sandton, il nuovo centro nevralgico nella zona nord di Johannesburg. Mi hanno messo a disposizione un cottage vicino alla piscina. Dietro c’è un muro altissimo: quello del consolato americano e sullo sfondo le torri del complesso di Sandton City. Lì fervono i lavori di ampliamento del centro commerciale e di completamento della stazione ferroviaria per il nuovo treno veloce che in occasione dei Mondiali di calcio collegherà l’aeroporto com gli alberghi e i negozi della zona.


Nuovo anno scolastico

Ieri hanno riaperto i battenti le scuole in tutto il paese sull’onda della polemica che ha accompagnato la divulgazione dei risultati degli esami di maturità del 2009. C’è stato un ritardo enorme nel renderli noti ma quello che preoccupa di più è che solo il 60 % dei candidati ha superato la prova.


Febbre da Mondiali

Nel frattempo sale la temperatura attorno all'evento clou del 2010 (twenty-ten come dicono qui). Twenty ten è diventato di fatto il sinonimo della Coppa del mondo di calcio che verrà giocata per la prima volta della sua storia nel continente africano. Buona parte dei lavori sembrano a buon punto, alcuni stadi sono veramente spettacolari ( ho visto, ma solo dall’esterno, quello di Nelspruit, citta' vicino al parco nazionale del Kruger, quello di Durban, con un arco di cemento che lo sovrasta da un’estremità all’altra e su cui si può camminare con un’imbracatura oppure scivolarvi sopra in funivia o da cui ci si può buttare facendo del bungee-jumping, e quello maestoso di Soccer City qui a Johannesburg) e la pubblicità enorme. Siccome tutto il mondo è paese, non mancano le polemiche sui costi e sulla necessità di nuove strutture e sul rischio-pericolo che molti diventino degli elefanti bianchi. Gli organizzatori poi non sono troppo entusiasti di come stanno andando le prevendite di biglietti qui in Sudafrica. Alle stelle invece vanno i prezzi dei biglietti aerei e quelli di alberghi, pensioni e B&B per il periodo dei mondiali da metà giugno a metà luglio


Capitombolo presidenziale

Uno dei momenti esilaranti nella tradizionale cerimonia nuziale in cui il Presidente Jacob Zuma (68 anni) ha ufficialmente sposato la quinta moglie (Tobeka Madiba) è avvenuto durante una delle danze tradizionali zulu in cui Zuma ha voluto mettere in mostra le sue abilità ballerine. Adatte a fisici giovani e atletici hanno avuto la meglio sul panciuto Capo di Stato che evidenzia gambette secche e troppo esili per la sua notevole stazza. Infatti mentre scalciava furiosamente in aria ha perso l’equilibrio ed è finito col sedere per terra. Qualche giorno dopo un guerriero zulu presente alla performance ha detto che quella non era una caduta ma un movimento previsto da quella particolare danza in cui un vero Zulu si lascia andare come un salame. Ma vai a dirlo a tua sorella, va'...

Qualcuno ha anche chiesto se il budget presidenziale è sufficiente a sfamare tutte queste bocche (tre mogli, in quanto da una ha divorziato e un’altra si è suicidata, vari figli (9? 14? 19?), una fidanzata ufficiale, Bongi Ngema, con cui forse si sposerà il prossimo anno) e se è giusto che i soldi dei contribuenti vengano usati per l’appetito insaziabile di un convinto poligamo. E alla domanda “Chi delle tre andrà con il Presidente nel corso delle visite ufficiali?” la risposta del portavoce presidenziale è stata “ Una, due o tutte e tre se così vorrà”.

Totò direbbe: “E io pago!” Qui dicono qualcos'altro che non posso ripetere.

sabato 2 gennaio 2010

Vacanze nel KwaZulu-Natal

Il giorno di Santo Stefano parto per Durban in compagnia di Piero e Carmen. 600 chilometri dividono la capitale finanziaria del Sudafrica da Durban, la capitale del KwaZulu-Natal, che con i suoi chilometri di costa, è la scelta naturale e più conveniente per i tanti vancanzieri che scelgono il mare.
Qui infatti è piena estate, le scuole hanno chiuso i primi di dicembre e con loro fabbriche e ditte che riapriranno solo dopo l’Epifania.
C`è una comoda autostrada che porta alla costa e nella confortevole Audi 6 di Piero sembra di essere in aereo ma bisogna stare attenti perchè la polizia stradale ha posizionato pattuglie e autovelox a tappeto. Il problema degli incidenti stradali in Sudafrica ha assunto da anni proporzioni allarmanti, soprattutto in occasioni di feste e vacanze dove lo stato pietoso di molti veicoli combinato con bevute colossali causa delle vere e proprie stragi.
Il paesaggio è variegato e riposante. Attraversiamo il Free State con le sue enorme distese di campi di grano e di girasole e arriviamo alla catena montuosa del Drakensberg che rappresenta la linea di demarcazione tra l’altopiano centrale e la zona costiera sottostante. Attraversiamo il passo di Van Rieenen a circa 1.700 metri di altezza. Vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Passo_di_Van_Reenen


Pioviggina ma il panorama è comunque spettacolare. Le gentili colline del KwaZulu-Natal ricoperte da una vegetazione lussureggiante, resa aluccicante dalla pioggerellina minuta, si srotolano giù verso la costa. Alcuni punti ricordano la campagna irlandese o scozzese. La dolcezza del paesaggio rende difficile pensare che qui si sono svolte alcune feroci e cruente battaglie tra Zulu, Inglesi e Boeri che hanno lasciato sul terreno migliaia di morti e che ricordano come la storia di questo bellissimo Paese sia contrassegnata da lotte laceranti e dai continui tentativi di sopraffazione di un gruppo sugli altri.
Arriviamo a Zinkwazi (80 km a nord di Durban) che è già scuro (anche se siamo in piena estate, alle 7 di sera c’è buio pesto), accolti da Craig e Vanessa e dalle loro bambine Simone e Olivia.
Il giorno dopo il tempo non è un gran che ma decidiamo lo stesso di andare in spiaggia a fare quattro passi prima di recarci a Ballito, una località turistica ad una quarantina di chilometri dove ci concediamo un pranzetto niente male a base di gamberi in padella. Il giorno dopo il sole splende in un cileo sgombro di nubi ed è quindi doveroso trascorrere la giornata in spiaggia. Il resto della settimana è una serie di brindisi ininterrotta, sulla spiaggia, nella vasca del jacuzzi, in piscina, in casa di amici di Vanessa e Craig, tutti qui su questo tratto di costa per qualche giorno di vacanza.
Per l’ultimi dell’anno il piano è quello di avere una grigliata su un tratto di spiaggia accessibile a pochi ma dopo aver acceso il fuoco comincia a piovere. Per fortuna c’è un piano B che consiste nell’invadere la grande casa al mare di Steve e Dawn , situata nel Parco Naturale che si estende sopra la spiaggia.
Il primo giorno del 2010 ci svegliamo al suono di centinaia di vuvuzela (le trombe di plastica usate negli stadi che producono un suono simile a un barrito di elefante). Il frastuono proviene dalla spiaggia dove si sanno riversando decine di migliaia di Zulu per l’annuale rito del bagno nell’Oceano il 1 di gennaio. I miei amici non sono del parere di andare a dare un’occhiata ma io sono troppo curioso e mi avvio verso il mare. Dopo pochi minuti mi si apre una vista spettacoalre: la spiaggia è un gigantesco formicaio e io sono l’unica formica bianca. Il clima è festoso e non mi sento per nulla intimorito. L’unico pericolo viene dal fatto che in queste occasioni parecchia gente beve più di quello che dovrebbe e scoppiano megazuffe in cui non è salutare venire coinvolte. Mi fermo a salutare una famiglia e a chiedere qualche spiegazione su questa giornata particolare ma ben presto il discorso va a finire sui mondiali di calcio e il fatto di essere italiano riscuote approvazioni e ammirazione. Rimango in zona un paio d’ore e gli unici visi pallidi che scorgo sono quelle dei proprietari di alcune ville i cui giardini si spingono fino alla spiaggia ma si tengono a debita distanza e ci osservano con binocoli e teleobiettivi. Forse pensano che sia impazzito o che sia uno zulu albino...
Una delle cose piacevoli delle spiagge sudafricane è che te ne puoi stare per ore tranquillo per i fatti tuoi senza l’ombra di un vucumprà, di qualcuno che ti vuole propinare un massaggio, una finta borsa Gucci, un accendino o qualsiasi altra paccottiglia che ti viene spinta sotto il naso da Rimini a Porto Cervo, da Goa alle Mauritius, da Malindi a Capo Verde. Ogni tanto passa un venditore di gelati e di bibite fresche che ti avverte della sua presenza facendo tintinnare discretamente un piccolo campanello. Ancor più sporadicamente si vedono delle donne che vendono cestini o stuoie di vimini ma sei tu che devi chiamarle se sei interessato a fare compere. Questa è civiltà! Salute!



Felice 2010 a tutti!

giovedì 24 dicembre 2009

Buone Feste


Ciao a tutti, vi spero in buona forma. Sono tornato ieri sera a Johannesburg e sono ospite dei cari Piero e Carmen che ieri sera hanno organizzato il cenone di Natale a casa loro dove ho rivisto un po' di persone conosciute. Oggi è una bellissima giornata, senza una nuvola in cielo. Qui però siamo piuttosto alti (1.600 metri) per cui il caldo è piacevole.
Il giorno di Santo Stefano andremo a Durban che è un po’ la Rimini locale per chi abita da queste parti anche se c’è una bella differenza tra l’Adriatico e l’Oceano aperto!
Ho un numero locale che è +27.72.33.20.343 ma se volete messaggiarmi usate pure il mio Vodafone italiano. A voi costa come un sms nazionale e a me nulla!
Faccio mio l’augurio inviatomi da un’amica:

“Sospesi tra la terra dei nostri limiti e il cielo dei nostri desideri, possiamo finalmente rientrare nel grembo del mistero della vita per rinascere”
Buon Natale a voi e a tutti i vostri cari.

Hello dear friends,
I’ writing from Jp’burg where the suns is shining in beautiful cloudless sky. Yesterday I got back from Beira (Mozambiwue) and I’ m staying with friends to celebrate Christmas. On Boxing Day I’ll be going with them to Durban, about 400 miles from here, on the Indian Ocean, to spend a few days at the seaside.
I’ve got a local phone number which is +27.72.33.20.343 but occasionally I switch on my Italian phone as well, so just in case you’ve sent me an sms there, I’ll get it for sure.
I wish you all a truly blessed and peaceful Christmas in the company of your loved ones.

May the light of the Lord shine in your hearts and brighten up your live.
Love to all

domenica 20 dicembre 2009

Caldi Tropici

Fa caldo a Beira. Alle 9 ci sono 32 gradi e il primo pomeriggio 36-37. Il sole è una palla di fuoco in un cielo sgombro di nubi. Chi può se ne sta all’ombra dove di giorno si sta bene grazie ad una brezza che arriva dal mare. Appena viene buio, attorno alle 18.30, il vento dimuisce fino a cessare e milioni di zanzare si preparano all’attacco. Per fortuna non c’è ancora un grosso tasso di umidità.

Casa P.B.

La nostra residenza si trova a una ventina di chilometri dalla città, a un centinaio di metri dalla strada nazionale numero 6 che collega Beira allo Zimbabwe. Il punto di riferimento per arrivare da noi sono due stazioni di servizio dove sono costantemente parcheggiati degli autotreni enormi in partenza o in arrivo. Attorno, un mercato come se ne trovano tanti in Africa: caotico, rumoroso, colorato e spesso puzzolente per via dell’immondizia che si accumula e che solo ogni tanto viene rimossa. La residenza è un edificio basso fatto a L e si trova all’interno di un grande cortile recintato dove crescono imponenti alberi di mango, ma anche banani, palme e papaye.

La casa è molto semplice: oltre ai il locali comuni ci sono 8 camerette e tre uffici. Chi l’ha costruita sembra non aver avuto nessuna idea di cosa vuol dire vivere ai tropici. L’aerazione è infatti scarsissima e i locali diventano dei veri e propri forni. In camera mia ci sono 32 gradi costanti (giorno e notte) e la ventola si trasforma in un gigantesco fon che spara aria calda da tutte le parti. Ogni tanto penso alle spaziose stanze di Treviglio con aria condizionata ma fratel Franco mi ricorda che ci sono persone che spendono un capitale per farsi la sauna mentre noi l’abbiamo in casa,gratis, per almeno 4 mesi l’anno!

Danze tradizionali? Meglio l’house!

Ieri sera sono stato da Alfredo e Regina, una coppia sulla quarantina che ho unito in matrimonio vent’anni fa. Sono stati bravi, hanno affrontato problemi e difficoltà insieme, hanno condiviso gioie e speranze e sono riusciti a costruirsi una modesta ma spaziosa casa per sé e i loro 5 figli che vanno tutti a scuola. Ho trovato il loro cortile pieno di ragazzi, tra i 14 e i 20 anni, anch’essi loro “figli”, nel senso che la comunità cristiana li ha scelti come leader del gruppo giovani. Erano lì per una festa di fine anno. Dopo la cena sono cominciate le danze. Mi hanno chiesto se avevo delle preferenze e ho scelto l’utse, una danza tradizionale molto dinamica che mi è sempre piaciuta. I ragazzi hanno strabuzzato gli occhi (forse alcuni non sanno neppure cosa sia) e uno di loro ha detto: “Che ne dice se partiamo invece con un po’ di house?”. Sì, decisamente è cambiato qualcosa negli ultimi anni.

Cambiamenti

Mentre ce ne stavamo sotto il cielo stellato a guardare i giovani esibirsi in strane danze moderne, il padrone di casa e io abbiamo ricordato brevemente i terribili tempi della guerra civile terminata nel 92 che è costata la vita a più di un milione di persone. Vent’anni fa sarebbe stato impossibile organizzare una serata del genere: a parte il fatto che non c’era elettricità, il cibo era scarso, birra e bibite generi di lusso, c’era il rischio di imbattersi in qualche pallottola vagante con il tuo nome scritto sopra.

Certamente il Mozambico ha fatto enormi passi in avanti da allora. Purtroppo la marcia non è uguale per tutti: pochi hanno innestato la sesta e vivono come dei nababbi, alcuni hann accesso solo alle ridotte, tanti altri non hanno ancora trovato la leva del cambio.

Rivoluzione tradita

Il partito al potere da 35 anni e da 15 democraticamente eletto (Frelimo) continua a dire considera il socialismo come sua ideologia portante e come ideale da realizzare. La realtà è che, come in Angola, gli antichi padri della rivoluzione si sono trasformati nei più spietati e sfrontati capitalisti. Il buon Samora Machel (primo Presidente scomparsoin un misterioso incidente aereo nel 1986) deve continuamente rivoltarsi nella tomba nel vedere che i voltagabbana tra i suoi compagni d’armi sono ormai la maggioranza assoluta e che gli ideali per cui hanno combattuto sono stati allegramente sacrificati sull’altare del dio Mammona. Non parliamo poi dell’opposizione che oltre ad avere enormi scheletri nell’armadio si è rivelata ancora più arraffona, incapace, ingorda e incompetente di quelli contro cui ha lottato per più di 15 anni. Molta gente è rassegnata: “Quando due elefanti lottano l’erba che ne soffre”. Proverbio e allegoria che più calzanti di così non si può. Anche la Chiesa, in generale, rispecchia l’andazzo corrente e quindi fa fatica ad avere una voce ed un ruolo profetico perché alle parole raramente corrisponde la realtà di scelte coraggiose e coerenti.

martedì 15 dicembre 2009

Parte finale:
Mua-Tete-Beira 1.100 km

La missione di Mua

La costruzione, che risale al 1902, si trova su una collinetta, addossata alle montagne che si innalzano fino all’altopiano di Dedza. È una delle costruzioni più antiche del Paese, rimodernata una decina di anni fa, su due piani e con vista a est sul lago Malawi che in linea retta dista pochi chilometri. I Padri Bianchi sono sempre stati presenti fin dalla sua fondazione.
Attiguo alla missione c’è l’importante centro culturale KuNgoni, fondato nel 1976 dal Padre Bianco canadese Claude Boucher. Qui si trova una scuola di formazione per intagliatori, pittori, scultori e molto altro ancora, un museo, una galleria d’arte e una biblioteca. Recentemente è stato aperto anche un hotel per le comitive di turisti che però scarseggiano in questo periodo dell’anno. KuNgoni è un interessantissimo esperimento di incontro, di sperimentazione interculturale, di inculturazione del messaggio cristiano nella realtà locale, di conservazione di tradizioni, danze e racconti che rischiano di scomparire. È un punto di riferimento obbligato per malawiani e non desiderosi di conoscere meglio la storia, le tradizioni, la cultura e la religione del Malawi. Questo assume un’importanza ancor maggiore oggi in un Paese che, come molti altri,è in rapida trasformazione, esposto alla globalizzazione omogeinizzante veicolata dai media che presentano modelli lontani e alieni ma accattivanti. Nella fretta della modernizzazione a tutti i costi si rischia di buttare il bambino ( i valori della tradizioni) con l’acqua sporca (le zavorre culturali che sono ormai inutili o d’impiccio).
La missione di Mua e KuNgoni sono certamente una tappa obbligata per chi visita il Malawi. Vedere www.kungoni.org
Il sabato mattina siamo fortunati perché Claude ha organizzato, per un gruppo di studenti universatari che arriva da Blantyre, uno spettacolo di danze tradizionale che dura ben tre ore. Il caldo all’interno del grande gazebo è impressionante (forse la giornata più calda in assoluto che abbiamo sperimentato finora) ma danzatori e percussionisti non si concedono un momento di pausa e tengono duro fino alla fine.

Escarpment Road

Da Mua partiamo il sabato mattina. La sera prima è scoppiato un bel temporale che ha portato una buona quantità di pioggia. Una vera manna per i campi di granoturco dove gli steli cominciavano ad inaridire. Vediamo tanta gente nei campi: di trattori nemmeno l’ombra. Certo, non è il momento dell’aratura ma qui la zappa sembra ancora regnare sovrana. Prendiamo una strada che si inerpica fino ai 1500 metri dell’altopiano di Dedza. Il fondo stradale è ottimo, il paesaggio variegato e in certi punti si gode di una vista panoramica sulla pianura e sul lago sottostanti. È un piacere guidare su questa strada (che qui chiamano Escarpment Road) anche se il nostro passo stamattina è decisamente da vacanzieri. Percorsi 60 km arriviamo alla frontiera con il Mozambico, proprio alle porte della cittadina di Dedza. Sbrigate le formalità procediamo più speditamente verso la città di Tete da cui ci separano 400 km.

Verde Angonia
La zona che percorriamo si chiama Angonia ed è un pò il granaio del Mozambico. Anche qui notiamo molta gente china sulla zappa, intenta a lavorare nei campi di granoturco. Qui, come nel vicino Malwi, la dieta giornaliera è costituita da polenta (di farina bianca), chiamata nsima e dall’intingolo (ndiwo)che in genere è carne o pesce nei giorni di festa e verdure cotte negli altri. Anche qui il paesaggio è molto vario: spesso davanti a noi si aprono pianure sconfinate, punteggiate da qualche picco o da qualche collina rocciosa. Il verde della vegetazione è stato reso intenso e lucido dalle recenti piogge. La terra lavorata di fresco è in certi luoghi di un rosso intenso, in altri scura: in entrambi trasudante fertilità.

Tete
Man mano che ci avviciniamo a questa importatne città del nordovest del Mozambico il paesaggio si fa più uniforme. All’entrata di Tete dobbiamo passare sotto le forche caudine rappresentate dall’impressionante ponte sul fiume Zambesi che, essendo in riparazione, funziona a senso unico alternato. Michele decide di attraversare il ponte a piedi ed è fortunato. Oltre a varie scene di vita, scorge anche un grosso ippopotamo che più che nuotare sta facendo quattro passi nella parte bassa del fiume.
Finalmente passiamo anche noi e trascorriamo il resto del pomeriggio andando a zonzo per la città e ritornando sul ponte armati di teleobiettivo sperando che l’ippopotamo (che adesso ha un compagno/a) si decida ad uscire dall’acqua per andare a brucare sulla riva vicina. Ma i bestioni non ci pensano nemmeno. Per fortuna non fa troppo caldo. Tete ha la reputazione di essere la città più calda del Mozambico. Non è raro avere 40-45 gradi in questa stagione

Ritorno alla base
Domenica mattina ci concediamo una colazione abbondante a base di paste di vario tipo in un locale all’imboccatura del ponte che ha l’aria di essere stato aperto da poco. C’èanche una bella macchina da caffè all’italiana ma non ci possiamo concedere l’ebbrezza di un espresso o di un cappuccino perchè manca la corrente. Pazienza, ci accontentiamo di un succo di litchi e poi partiamo alla volta di Beira, per gli ultimi 600 km della nostra avventura. Per strada incontriamo molti camion: alcuni fermi sul ciglio dela strada, bloccati da guasti più o meno seri che potrebbero richiedere vari giorni prima di essere riparati. La pausa pranzo è a Chimoio, a 180 km da Beira. Il cameriere ci suggerisce di provare le bistecche del posto ma decisamente abbiamo assaggiato di meglio.
Alle 5 del pomeriggio varchiamo il portone della nostra casa di Inhamìzwa. Abbiamo percorso quasi 4.000 km in 18 giorni su ogni tipo di strada ( e di pista) e siamo stati miracolati in vari modi:
• la macchina non ci ha mai dato nessun problema:
• non abbiamo forato nemmeno una volta:
• non abbiamo preso multe:
• in Mozambico non siamo mai stati fermati da polizia o vigili
• non abbiamo avuto il minimo incidente, riuscendo ad evitare anche le galline o le faraone

Mentre termino questa pagina, Michele e Zeno sono già in volo per l’Italia. Certamente avranno bisogno di qualche giorno per “sbobinare” tutto quello che hanno vissuto in questo viaggio e gli auguro di riuscire a trasmettere un po’ di quello che hanno vissuto e visto di persona. Io intendo restare a Beira fino al 23 di dicembre e poi ritornare in Sudafrica. Pubblicherò anche alcune foto quando avrò una connessione Internet un po’ più veloce di quella che sto usando al momento e qualche riflessione. L’appuntamento è fra qualche giorno

giovedì 10 dicembre 2009

Balaka- Mua


Ciao, vi scrivo dalla mitica (e l'aggettivo non è esagerato) missione di Mua dove siamo arrivati stasera. Qui sono approdato 27 anni fa esatti e di questi tempi stavo sudando cercando di impararare la lingua del posto, il Chichewa (pr: cicewa)
Il posto è cresciuto in numero di abitazioni e luoghi importanti da visitare. è arrivata l'elettricità e anche la connessione wi-fi per internet.
Abbiamo trascorso gli ultimi due giorni a Balaka, a 100 km sud di qui, ospiti dei Padri Monfortani. Da loro c'e un ambiente molto bello e abbiamo vissuto 48 ore istruttive e piacevoli. C'era anche una little Italy ( anzi, sarebbe più appropriato chiamarla un'oasi bergamasca) dove abbiamo ritrovato alcuni piccoli piaceri quali una tazza di vero caffè e un piatto di pasta cotto come si deve. Ne approfitto per ringraziare i padri Mario, Piergiorgio, Angelo e tutti quelli che ci hanno dato il loro tempo e la loro ospitalità sincera.
Tante le cose viste di cui menziono la cooperativa Andiamo, la tipografia Montfort, l'erboristeria, il Technical College, la maternità, le chiese finemente decorate.
Siamo entrati in Malawi ignari del fatto che c'era una grossa penuria di combustibile. Non avendo abbastanza gasolio per continuare il giro che avevo pianificato, pensavamo già di ritornare in Mozambico ripassando da Blantyre dove il prezioso liquido ancora si trovava. Poi stamattina, per incanto, abbiamo trovato un benzinaio aperto e che aveva gasolio in quantità. Abbiamo fatto il pieno, riempito una tanica di 25 litri procurata dall'inesauribile Angelo e siamo ripartiti per Mua.
Domani, venerdì, passeremo la giornata qui. Sono previste alcune danze tradizionali che sarebbe un peccato perdere. Magari domani riesco anche a caricare qualche foto. Sopra: il sottoscritto in compagnia del Padre Bianco Claude Boucher, artista, esperto di lingua, costuni e tradizioni locali, di cui abbiamo ampiamente parlato su Africa un paio di volte, che ho ritrovato con piacere a Mua 27 anni dopo.

martedì 8 dicembre 2009

Murraça-Blantyre 610 km

Lunedì 7 dicembre

Inizio tribolato

La partenza è fissata per le 7.30. Giro la chiave e la macchina…non parte! Tentativo di partenza a spinta che non approda a nulla. Allora alziamo il cofano del Mitsubishi Pajero e scopriamo che uno dei morsetti della batteria è un po’ allentato. Ci fermiamo a Caia per il rifornimento e lì ricevo la chiamata di fratel Franco che mi dà una brutta notizia. La notte precedente, in una township tra Johannesburg e Pretoria, dove aveva da poco fondato una parrocchia, viene ucciso uno dei nostri, padre Louis Blondel, francese, con un colpo di pistola al cuore, nel corso di una rapina a mano armata. Il bottino: un pc portatile. Rabbia, sgomento e incredulità sono i primi sentimenti che provo. Il tempo di recitare un paio di Requiem e poi bisogna partire perché la strada è lunga e piena di incognite.


Rally in Zambezia

Attraversiamo il nuovissimo ponte Guebuza (nome dell’attuale presidente del Mozambico) e ci dirigiamo verso Nicoadala, distante 120 km verso nord est, nella provincia della Zambezia... La strada è buona anche se non mancano alcune buche e tratti dove l’asfalto è sparito.

Da Nicoadala a Mocuba percorriamo i migliori 130 km in assoluto sinora. Manto stradale perfetto e segnaletica orizzontale impeccabile.

Da Mocuba al confine con il Malawi è tutta un’altra storia. Sono duecento km di strada sterrata, in alcuni tratti resa molto sconnessa dalle piogge recenti. È però anche divertente guidare su questa pista da rally e il paesaggio è spettacolare.



La pista è una ferita rossa che si insinua nel verde lussureggiante della savana-campagna tutto attorno. Qui a e là sorgono alcune capanne e i campi sono coltivati a granoturco, tutto rigorosamente a mano. All’orizzonte si stagliano picchi di notevole altezza.

Per strada ci imbattiamo in alcuni edifici che portano ancora i segni della guerra civile terminata nel 1992.




Ci fermiamo un paio di volte per rifocillarci con degli ottimi manghi e ananas comprati al mercato e una volta per un fuoripista visto che la rete stradale è completamente bloccata da un autoarticolato che si è messo di traverso.


Nel corso dell’ultima di queste pause siamo colpiti dal fatto che un paio di bambini frughino nell’erba alla ricerca delle bucce di mango che abbiamo buttato via e se le mangiano. Forse hanno notato che erano ben maturi rispetto a quelli acerbi che sono soliti mangiare. La fame non ne vuol sapere di aspettare i tempi della maturazione

Passaggio in Malawi

Arriviamo al confine alle 17.30 (mezz’ora prima che chiuda). La frontiera è ai piedi della montagna più alta del Malawi, il Milanje che si innalza fino a 3mila metri.

Sbrigate le formalità doganali in ¾ d’ora, decidiamo di sfruttare l’ottima sede stradale che troviamo in Malawi per arrivare fino a Blantyre, la città più importante del Paese, anche se non è la capitale.

Prima di entrare in città, decidiamo di passare la notte in un bed &breakfast niente male che porta l’esotico nome di Blue Lagoon.

Aspettiamola cena per quel che sembra un’eternità. Per fortuna i sofà sono comodi, la birra locale Kuche Kuche briosa e leggera e la tv propone un film documentario sui mondiali di calcio del 1970.

Allungo le mie stanche membra sul comodo letto dell’albergo e prego il Signore perché la morte tragica e insensata di cui è stato vittima Louis abbia almeno un significato nel misterioso piano divino.