giovedì 10 dicembre 2009

Balaka- Mua


Ciao, vi scrivo dalla mitica (e l'aggettivo non è esagerato) missione di Mua dove siamo arrivati stasera. Qui sono approdato 27 anni fa esatti e di questi tempi stavo sudando cercando di impararare la lingua del posto, il Chichewa (pr: cicewa)
Il posto è cresciuto in numero di abitazioni e luoghi importanti da visitare. è arrivata l'elettricità e anche la connessione wi-fi per internet.
Abbiamo trascorso gli ultimi due giorni a Balaka, a 100 km sud di qui, ospiti dei Padri Monfortani. Da loro c'e un ambiente molto bello e abbiamo vissuto 48 ore istruttive e piacevoli. C'era anche una little Italy ( anzi, sarebbe più appropriato chiamarla un'oasi bergamasca) dove abbiamo ritrovato alcuni piccoli piaceri quali una tazza di vero caffè e un piatto di pasta cotto come si deve. Ne approfitto per ringraziare i padri Mario, Piergiorgio, Angelo e tutti quelli che ci hanno dato il loro tempo e la loro ospitalità sincera.
Tante le cose viste di cui menziono la cooperativa Andiamo, la tipografia Montfort, l'erboristeria, il Technical College, la maternità, le chiese finemente decorate.
Siamo entrati in Malawi ignari del fatto che c'era una grossa penuria di combustibile. Non avendo abbastanza gasolio per continuare il giro che avevo pianificato, pensavamo già di ritornare in Mozambico ripassando da Blantyre dove il prezioso liquido ancora si trovava. Poi stamattina, per incanto, abbiamo trovato un benzinaio aperto e che aveva gasolio in quantità. Abbiamo fatto il pieno, riempito una tanica di 25 litri procurata dall'inesauribile Angelo e siamo ripartiti per Mua.
Domani, venerdì, passeremo la giornata qui. Sono previste alcune danze tradizionali che sarebbe un peccato perdere. Magari domani riesco anche a caricare qualche foto. Sopra: il sottoscritto in compagnia del Padre Bianco Claude Boucher, artista, esperto di lingua, costuni e tradizioni locali, di cui abbiamo ampiamente parlato su Africa un paio di volte, che ho ritrovato con piacere a Mua 27 anni dopo.

martedì 8 dicembre 2009

Murraça-Blantyre 610 km

Lunedì 7 dicembre

Inizio tribolato

La partenza è fissata per le 7.30. Giro la chiave e la macchina…non parte! Tentativo di partenza a spinta che non approda a nulla. Allora alziamo il cofano del Mitsubishi Pajero e scopriamo che uno dei morsetti della batteria è un po’ allentato. Ci fermiamo a Caia per il rifornimento e lì ricevo la chiamata di fratel Franco che mi dà una brutta notizia. La notte precedente, in una township tra Johannesburg e Pretoria, dove aveva da poco fondato una parrocchia, viene ucciso uno dei nostri, padre Louis Blondel, francese, con un colpo di pistola al cuore, nel corso di una rapina a mano armata. Il bottino: un pc portatile. Rabbia, sgomento e incredulità sono i primi sentimenti che provo. Il tempo di recitare un paio di Requiem e poi bisogna partire perché la strada è lunga e piena di incognite.


Rally in Zambezia

Attraversiamo il nuovissimo ponte Guebuza (nome dell’attuale presidente del Mozambico) e ci dirigiamo verso Nicoadala, distante 120 km verso nord est, nella provincia della Zambezia... La strada è buona anche se non mancano alcune buche e tratti dove l’asfalto è sparito.

Da Nicoadala a Mocuba percorriamo i migliori 130 km in assoluto sinora. Manto stradale perfetto e segnaletica orizzontale impeccabile.

Da Mocuba al confine con il Malawi è tutta un’altra storia. Sono duecento km di strada sterrata, in alcuni tratti resa molto sconnessa dalle piogge recenti. È però anche divertente guidare su questa pista da rally e il paesaggio è spettacolare.



La pista è una ferita rossa che si insinua nel verde lussureggiante della savana-campagna tutto attorno. Qui a e là sorgono alcune capanne e i campi sono coltivati a granoturco, tutto rigorosamente a mano. All’orizzonte si stagliano picchi di notevole altezza.

Per strada ci imbattiamo in alcuni edifici che portano ancora i segni della guerra civile terminata nel 1992.




Ci fermiamo un paio di volte per rifocillarci con degli ottimi manghi e ananas comprati al mercato e una volta per un fuoripista visto che la rete stradale è completamente bloccata da un autoarticolato che si è messo di traverso.


Nel corso dell’ultima di queste pause siamo colpiti dal fatto che un paio di bambini frughino nell’erba alla ricerca delle bucce di mango che abbiamo buttato via e se le mangiano. Forse hanno notato che erano ben maturi rispetto a quelli acerbi che sono soliti mangiare. La fame non ne vuol sapere di aspettare i tempi della maturazione

Passaggio in Malawi

Arriviamo al confine alle 17.30 (mezz’ora prima che chiuda). La frontiera è ai piedi della montagna più alta del Malawi, il Milanje che si innalza fino a 3mila metri.

Sbrigate le formalità doganali in ¾ d’ora, decidiamo di sfruttare l’ottima sede stradale che troviamo in Malawi per arrivare fino a Blantyre, la città più importante del Paese, anche se non è la capitale.

Prima di entrare in città, decidiamo di passare la notte in un bed &breakfast niente male che porta l’esotico nome di Blue Lagoon.

Aspettiamola cena per quel che sembra un’eternità. Per fortuna i sofà sono comodi, la birra locale Kuche Kuche briosa e leggera e la tv propone un film documentario sui mondiali di calcio del 1970.

Allungo le mie stanche membra sul comodo letto dell’albergo e prego il Signore perché la morte tragica e insensata di cui è stato vittima Louis abbia almeno un significato nel misterioso piano divino.

Tappa Beira-fiume Zambesi

Sabato-domenica 5-6 dicembre

Sabato è stato un giorno di trasferimento. Abbiamo lasciato il sobborgo di Inhamizwa e ci siamo diretti verso la parrocchia di Murraça. La strada più corta tra le due località, essendo una pista di terra battuta e sabbia, è anche quella che richiede maggior tempo di percorrenza in questa stagione in cui i primi acquazzoni stanno già creando notevoli difficoltà.
Abbiamo quindi fatto il giro lungo, costeggiando il parco nazionale di Gorongosa a nord-ovest. Sono 450 km su strada asfaltata che nascondono un’insidia pericolosa: buche enormi che appaiono all’ímprovviso e che solo uno sguardo vigile e una mano forte e salda riescono (non sempre) a evitare. È anche un percorso senza stazioni di servizio per cui è stato con un certo sollievo che ci siamo subito fermati alla prima pompa di gasolio (prezzo 50 centesimi al litro) all’entrata di Caia. Quest’ultima è una cittadina a pochi chilometri dalla nostra destinazione finale, Murraça, e sorge in prossimità del nuovo ponte che attraversa lo Zambesi, collegando così la zona centro a quella nord.

Murraça

La missione di Murraça è stata fondata dai Padri Bianchi nel 1946. Tra i pionieri anche due padri italiani: Cesare Bertulli e Paolo Marostica. Nel 1971 tutti i Padri Bianchi sono espulsi dal Mozambico e la missione passa in altre mani. Dopo l’indipendenza nel ’75 rimane praticamente senza preti e suore. Si apre un capitolo molto doloroso per la gente del posto segnato dalla guerra civile tra Frelimo e Renamo che causerà morti, distruzioni, carestie,sofferenze indicibili e un esodo di massa verso il vicino Malawi. La guerra finisce nel 1992 e i Padri Bianchi ritornano a partire dal ’93. Dal 1996 si insediano definitivamente e iniziano il recupero sistematico degli edifici abbandonati e semidistrutti. Da allora le trasformazioni sono state rapide: è arrivata la corrente, il telefono, il segnale del cellulare e, fra un ano o due, la banda larga in fibra ottica. La ferrovia che univa queste località rivierasche a Beira è stata riparata e c’è già un treno alla settimana che fa l’andata e ritorno tra Mutarara (sulla sponda nord dello Zambesi, a un a cinquantina di km da Murraça) e Beira. Prezzo in prima classe: 350 meticais (meno di 10 euro), tempo di percorrenza: una notte intera.
La maggior parte della gente è povera: molti vivono ancora in capanne e l’acqua corrente e l’elettricità rimangono, per i più, dei lontani miraggi.

Il grande fiume

Il clou della giornata di domenica è stata una gita in barca sullo Zambesi, imponente e intorbidito dalle recenti piogge. È un fiume maestoso che in alcuni punti potrebbe sembrare un lago se non fosse per la forte corrente che spinge a valle.

Abbiamo avvistato una famigliola di ippopotami da cui ci siamo prudentemente tenuti alla larga. L’ippopotamo è l’animale che fa più vittime in assoluto nel continente africano.




Tre notizie che hanno attirato la mia attenzione in questa settimana:
1. La distruzione della macchia sulla fascia costiera della capitale per fare spazio a lussuose residenze che stanno spuntando come funghi. Tutto il mondo è paese, purtroppo.
2. Le proteste dei fotografi che accusano il governo di rovinargli l’attività. Con l’introduzione obbligatoria delle nuove carte d’identità biometriche, sparisce la fetta di guadagno generata dalle foto-tessera. Forse sarebbero necessarie altre leggi.
3. Una recentissima analisi di una èquipe della Banca Mondiale ha rivelato che le cause che impediscono uno sviluppo lineare e veloce del Paese sono: corruzione, burocrazia e quello che qui chiamano, con un eufemismo, “oportunismo”, cioè il furto legalizzato. Probabilmente l’indagine è costata migliaia di euro. Bastava chiedere all’uomo della strada per giungere alle stesse conclusioni. E per di più gratis.
A proposito della mia riflessione sull’ìncubo rappresentato dai marciapiedi a Maputo chi capisce il portoghese può leggere un’interessante riflessione di Carlos Serra su www.oficinadesociologia.blogspot.com

sabato 5 dicembre 2009

Sabato 5 dicembre

Giovedì mattina abbiamo lasciato Vilankulo e ci siamo diretti ad Inhassoro, tappa quasi obbligata per un buon bagno. C’era bassa marea e la spiaggia era letteralmente coperta da piccole alghe lasciate dall’acqua che si ritirava. Bagnarsi è stato come immergersi in un brodo primordiale. Ci siamo fermati per un brunch in un bungalow-ristorante con vista sulla spiaggia: paesaggio stupendo e bell’edificio ma servizio di una lentezza esasperante. Mancavano anche le cose più semplici in un luogo che dovrebbe essere un richiamo per i turisti: succhi di frutta finiti alle 10.30 del mattino, niente toast perché il tostapane è avariato, succo di limone chimico importato dal Sudafrica invece di una fetta dell'agrume che si trova in abbondanza ovunque e confusione nelle ordinazioni (da notare che nel locale con più di 100 posti c’eravamo solo noi 3 con 2 camerieri a nostra disposizione). Alle 11.30 riprendiamo la strada per Beira, Mancano circa 500 km ma la macchina va che è un piacere, la strada è buona e il tempo stabile. Solo a un centinaio di km da Beira ci coglie un violentissimo acquazzone. Cielo, asfalto e terreno circostante si fondono in un grigio indefinito che ci costringe a ridurre drasticamente la velocità.
Arriviamo a Inhamizwa (dove i Padri Bianchi hanno due comunità) alle 16.30. Ad accoglierci c’è fratel Franco. Le stanze, piccole ma sufficienti per un breve soggiorno, sono roventi. Cominciamo a sudare come se fossimo in una sauna, anzi in un bagno turco, visto il grado di umidità. A cena c’è un’ottimo pesce e un bicchiere di vino. Ci corichiamo verso le 11 e poco dopo scoppia un formidabile temporale con una serie spettacolare di fulmini e tuoni che però non mi impediscono di addormentarmi. Mi sveglio nel cuore della notte, fradicio di sudore: il temporale ha causato un black out, il ventilatore si è fermato e il bagno turco è ricominciato.
La mattina di venerdì è dedicata alla visita al centro di formazione di Nazaré gestito dai Padri Bianchi, il pomeriggio passiamo a visitare il centro Dream per la prevenzione della trasmissione dell’Aids dalle mamme ai loro bebé. Il progetto è stato lanciato e finanziato dalla comunità di Sant’Egidio. Ci fermiamo anche vicino alla casetta dove ho alloggiato nei miei primi tre anni in Mozambico, dal 1988 al 1991. Le strade di accesso sono al limite del praticabile: è come trovarsi in una palude, e siamo solo all’inizio della stagione delle pogge!
Proseguiamo poi per Beira, che si trova a 10 km. È la seconda città del Mozambico, ufficialmente con mezzo milione di abitanti ma probabilmente molti di più. È una città che non riesce a ripartire: la crisi del vicino Zimbabwe ha avuto un profondo impatto sugli introiti che provenivano dal commercio che fluiva attraverso il porto di questa città. Faccio vedere ai miei amici il (tristemente) famoso Grande Hotel:
anticamente un albergo di lusso, ora una decrepita e cavernosa costruzione pericolante che pare ospitare circa 3.000 persone. I lettori di Africa si ricorderanno che gli abbiamo dedicato un articolo nel numero 2 di quest’anno.
Il caldo afoso ci accompagna tutta la giornata: solo in serata troviamo un po’ di refrigerio in una tranquilla passeggiata in riva al mare.
Oggi si parte verso il nord: prossima tappa la missione di Murraça, lungo le sponde del fiume Zambesi. Lunedì dovremmo raggiungere il Malawi dove ci fermeremo 4 0 5 giorni. A risentirci appena troveremo una connessione a Internet.
Questa volta non ci sono immagini: la connessione internet e' talmente lenta che ci vorrebbe una mattinata a caricare le foto.

mercoledì 2 dicembre 2009

Martedì 1 dicembre, ci alziamo alle 5 (e per me questo è sempre un trauma)per dirigerci verso la regione centrale del Mozambico. Sta diluviando... Squadre della nettezza urbana stanno svolgendo il proprio lavoro muniti di guanti e mascherine. Imbocchiamo la N1 diretti verso Xai-Xai (da pronunciarsi “Sciai-Sciai”).
Piano piano il caos della capitale lascia il posto all’ assoluta tranquillità della savana africana.
Di tanto in tanto incrociamo donne ed uomini che camminando sul bordo della strada si dirigono al lavoro o propongono ai viaggiatori i prodotti della terra. Prima di entrare in città oltrepassiamo il mitico fiume Limpopo. Ci fermiamo per una foto ricordo e decidiamo di comprare alcune banane dolcissime. Non abbiamo però spiccioli e la donna non ha il resto. Problema subito risolto: si barattano le banane con una camicetta da donna che abbiamo nei nostri bagagli.
La strada è buona fino a Xai-Xai ma subito dopo diventa un groviera. La striscia d'asfalto è quasi inesistente e piena di buche, alcune delle quali enormi, che essendo piene d'acqua rappresentano un vero pericolo per la salute del nostro pur robusto fuoristrada (un Toyota Hilux).
E la situazione si protrae per quasi 100 km...
Dopo aver pranzato in riva all'oceano a Maxixe (“Mascisce”), visto che diluvia, decidiamo di continuare il nostro viaggio. Ritroviamo altri 60km di strada dissestata che ci costringono a fare una media di 30-40 km e raggiungiamo Vilanculo (sì, si chiama proprio così!) alle 18.30. Abbiamo percorso 650 km che ci hanno mostrato le varie facce del Paese: quella cittadina, quella rurale, quella della ricostruzione, della “normalità” e quella del dissesto totale.

Oggi abbiamo poltrito fino alle 7.30 e poi siamo andati a fare il bagno. L'acqua è limpidissima e calda ma la corrente è davvero molto forte. Durante la bassa marea l'acqua si ritira di parecchie centinaia di metri.
Siamo a un paio di km a sud da quella che era la stupenda baia di Vilankulo, trasformata in un cimitero di imbarcazioni in seguito al violentissimo uragano che sconvolse la regione nel febbraio di 2 anni fa.
La cittadina in sé non offre nulla di interessante: qui si viene per andare al mare, fare pesca d’alto bordo, immergersi e visitare lo splendido arcipelago di Bazaruto che si trova proprio di fronte. Domani faremo una breve sosta a Inhassoro (70 km più a nord)e poi partiremo per Beira dove contiamo di arrivare la sera.
Il mio cellulare di qui: 00.258.82.55.04.733 ma accendo regolarmente anche il mio vecchio numero Vodafone.

lunedì 30 novembre 2009


Secondo giorno a Maputo. Tre parole che riassumono quanto abbiamo visto oggi: cellulari, costruzioni e marciapiedi (che è un eufemismo chiamare sconnessi).

Cellulari: non solo bene in vista nelle mani, al collo o all’orecchio di quasi tutti ma anche venditori di ricariche ad ogni angolo, pubblicità ovunque (intere facciate di palazzi che reclamizzano M-cell –che va per la maggiore-, o Vodacom) centri vendita spuntati ovunque. Si direbbe che da queste parti il digital divide si stia chiudendo .


Marciapiedi: alberi cresciuti oltre misura, opere iniziate e abbandonate, scavi male riempiti, putride pozzanghere, cumuli di immondizie abbandonati, venditori ambulanti: tutto questo e molto altro contribuiscono a fare dei marciapiedi di Maputo un’autentica gimcana e in alcuni casi un percorso di guerra.. Un consiglio: se mai verrete da queste parti in un futuro prossimo, non camminate mai con lo sguardo rivolto in alto: fermatevi e ricominciate a muovervi quando i vostri occhi sono di nuovo rivolti a terra: ne va della vostra incolumità.



Costruzioni: dappertutto: nuove, in riparazione, in abbattimento per lasciar posto ad altri edifici, soprattutto alberghi e uffici. Maputo è un immenso cantiere. Si lavora anche la domenica per il doppio dello stipendio. Ieri abbiamo chiesto a un muratore quanto guadagnava: 100 meticais al giorno (2 euro e rotti), E questa è considerata un’ottima paga anche se un sacco di riso di 50 kg costa più di 1.500 meticais. Al momento l’euro è scambiato a 44 meticais.
Abbiamo iniziato la giornata con una vista panoramica dall’edificio più alto di Maputo che,pur costruito nella parte bassa della città,dall’alto dei suoi 33 piani domina su tutta la capitale.
Poi siamo andati a caccia dell’auto (trovata, una robusta Toyota Hilux che dovrà portarci a 1.200 km più su, a nord, e questo grazie all’interessamento dell’indispensabile quanto generoso Silvano e di sua moglie Daniela,) abbiamo provato l’ebbrezza delle corse nei taxi a tre ruote e in quelli chiamati “collettivi”: in un pulmino per 9 persone ci siamo trovati in alcuni momenti anche in 15 più un sacco di riso che si è regolarmente strappato e per ultimo ci siamo infilati in uno dei più frenetici, affollati e variegati mercati di tutta l’Africa australe: il mitico Xipamanine!
Un ultima corsa a recuperare un pezzo di grana da portare in regalo ai confratelli a Beira e un buon meritato boccone in riva al mare hanno concluso la giornata.
A presto.




Michele e Zeno si stanno comportando egregiamente. Eccoli qui mentre riprendono fiato:




For my English speaking friends: sorry I havent’ got the time to put all this into English. I suggest that you make good use of Google translator until I find a bit of time to let you know what is happening in this beautiful land of Mozambique. Take care.

domenica 29 novembre 2009

Eccomi a Maputo, la capitale del Mozambico.Con i miei compagni di viaggio siamo partiti giovedì sera da Madrid alla volta di Johannesburg. Carichi come muli (l'Iberia ci ha dato 46 kg a testa che arrivavano sopra i 55 con il bagaglio a mano) a fatica ci siamo infilati nella macchina inviataci dal mitico Tino. A Jo´burg siamo stati ospiti dagli ineffabili Carmen e Piero che hanno subito organizzato una cena sopraffina di benvenuto. Unico prezzo da pagare: una messa prima di metterci a tavola. Venerdì mattina, all'alba, noi e i nostri 9 bagagli abbiamo trovato posto nell'Audi di Piero (una cosa quasi da Guinness!) che ci ha portato alla stazione degli autobus. Il viaggio verso Maputo è stato lungo ma abbastanza piacevole; l'autobus a due piani, confortevole e dotato di aria condizionata, ha impiegato 8 ore a percorrere i 600 km che separano Jo'burg, a 1.600 mt di altezza a Maputo che si affaccia sull'oceano Indiano.
Oggi abbiamo girovagato per la città, mangiato dell'ottimo pesce e preso il primo sole che ha reso le nostre facce rosse come peperoni.
Domani altra giornata di esplorazione prima di avviarci verso nord. Un caro saluto a tutti