mercoledì 1 marzo 2023

Il dopo alluvione

Lentamente le persone rientrano nelle loro abitazioni o in quel che è rimasto di esse. Parlare di un ritorno alla normalità è una parola grossa. Anche se il ciclone Freddy, da giorni indebolitosi a livello di depressione tropicale, da noi non ha fatto grossi danni, (tranne piogge molto abbondanti fino a ieri mattina), la devastazione provocata dalla piena del fiume Umbeluzi è sotto gli occhi di tutti.

Strade, ponti, rete idriche ed elettriche in uno stato pietoso in più punti. Macerie ovunque, acquitrini dai miasmi nauseabondi dove marciscono piante, pesci e animali affogati durante l'alluvione  e poi lo spettro della fame perchè oltre ad avere sepolto i raccolti, l'acqua ha anche spazzato via quel poco che c'era in casa. Si calcola che nella regione di Maputo siano 71mila gli ettari sommersi il che equivale al 26 % delle terre arate dall'inizio della stagione delle semine 2022-23. Le famiglie a rischio fame sono 30mila e a meno di una seconda semina dal raccolto miracoloso, la speranza di una veloce risoluzione del problema diventa un'utopia col passare di ogni giorno.

Da ieri le persone presenti nei centri di accoglienza sono state invitate a tornare a casa perchè i luoghi occupati sono in genere scuole statali che devono riaprire i battenti per non pregiudicaere un anno scolastico che partirà con tre settimane di ritardo. Per incoraggiare i recalcitranti, il comune ha smesso di distribuire pasti nei centri e ha offerto un kit di generi di prima necessità a coloro che rientrano nelle loro case o in quelle di parenti, amici e colleghi.

In parrocchia continuiamo a ricevere donazioni, soprattutto di cibi, vestiti e prodotti per l'igiene personale. Pian piano le persone che vi avevano trovato rifugio tornano a casa e l'impegno è quello di continuare ad aiutarli con il minimo indispensabile, monitorando sul posto la loro situazione reale. L'emergenza è passata, l'assistenza però continuerà nei casi più bisognosi.


domenica 19 febbraio 2023

domenica 12 febbraio 2023

Alluvionati e sfollati

Venerdì 10 febbraio, quattro e mezzo del mattino. Vengo svegliato da un bussare frenetico alla finestra. è Egidio, il nostro guardiano notturno che mi avvisa che c’è un movimento di persone che vengono dalla zona bassa vicino al fiume che dista un chilometro in linea d’aria. Dicono che il livello si sta alzando rapidamente e in modo preoccupante. 

Memore dell’allerta diramata oil pomeriggi precedenti e della storia, ripetutaci più volte, del salvataggio dei padri issati con l’elicottero dal tetto nell’alluvione del 2000, balzo dal letto, butto 4 cose in un borsone, sbraito perché i miei due confratelli facciano lo stesso e mi avvio verso una delle due macchine. Il più vecchio, Bernhard, tedesco, 70 anni fra poco, non sembra capire l’urgenza del momento: va a prepararsi un caffè, cincischia, chiacchiera con il guardiano.

Sono già in macchina, dico al giovane da poco arrivato dal Burkina Faso che vada a recuperare Bernhard e il guardiano e che prendano l’altra macchina, alla svelta, e si dirigano verso la chiesa in cima alla collina, punto più alto di tutta la cittadina, a 4 km dalla nostra residenza. Comincia a piovere torrenzialmente e la strada è già sommersa dall’acqua ma in pochi minuti arrivo alla chiesa. Dopo un quarto d’ora arriva l’altra vettura e tiro un sospiro di sollievo ma si apre una sola portiera ed esce solo il tedesco. “E gli altri?” chiedo. “Sono rimasti sul posto per controllare la situazione” mi risponde. Mi esce spontanea una parola che è l’esatto opposto di una giaculatoria.

Bernhard decide quindi di tornare sui suoi passi ma è troppo tardi: il livello dell’acqua si è alzato ad una velocità impressionante e non si passa più. E i nostri non riescono ad uscire di casa perché la corrente è troppo forte e si rischia di essere colpiti dai detriti… per non parlare dei coccodrilli. Aspettiamo l’alba, la pioggia diminuisce e dalla chiesa percorriamo un a paio di chilometri per controllare l’ansa del fiume Umbeluzi attraversata da un ponte su cui passa una delle principali strade di collegamento. Il fiume è diventato un lago e il ponte, se c’è ancora, sarà sotto un paio di metri d’acqua.  /continua