Viaggiare, sì viaggiare (ma come?)
6 settembre 2010
Scrivo queste righe dall’aeroporto di Beira dove sono in attesa del volo per Maputo. L’aeroporto è molto migliorato rispetto al terribile stato in cui era precipitato durante gli anni della guerra. Adesso mi trovo in una sala d'aspetto con tanto di aria condizionata e ci hanno appena comunicato, in maniera forte e chiara, che l’aereo ci sarà, anche se ha fatto un giro tutto diverso dal previsto. Ormai questo succede spesso con i voli interni visto che i vettori sono “cansados” come dicono qui, cioè stanchi e quindi devono riposarsi, magari senza preavviso. Roba da leggenda metropolitana per cercare di spiegare ...l'inspiegabile. Quello su cui mi imbarcherò è un affidabile Boeing 737 che però deve aver percorso 200 milioni di miglia! Per lo meno adesso fanno la manutenzione regolare. Negli anni in cui infuriava la guerra, dicevano che non c’era tempo per farla (e nemmeno il denaro) perché, con le strade e le ferrovie paralizzate, i due aerei della compagnia di bandiera erano sempre in aria (e per aria!). Ma forse anche questa è una leggenda metropolitana… Del resto la LAM (
Linhas aereas de Moçambique, conosciute anche come
Linhas atrasadas (in ritardo) o
malandras (mariuole) o per
Late And Maybe!) ha un record di sicurezza impeccabile. Ogni tanto c’è qualche piccolo inconveniente, per rendere la vita più interessante, come è successo un paio di mesi fa ad un mio confratello che ha dovuto saltare da un velivolo. Mentre rullava sulla pista uno di motori si è incendiato e i passeggeri sono stati gentilmente invitati a lanciarsi dagli scivoli di emergenza. Risultato: un ginocchio sbucciato e una storia da raccontare, per alcuni anni a venire, attorno a un buon bicchier di vino.
P.S. Per la cronaca, il volo è arrivato puntuale secondo il nuovo orario modificato in "tempo reale" e siamo partiti senza problemi alla volta della capitale, dove siamo arrivati un’ora dopo.
Maputo: un’isola (non così) felice
Sono a Maputo da 5 giorni e la città è ritornata alla normalità, dopo i gravi disordini di una decina di giorni fa che sono costati la vita (ufficialmente) a 13 persone, causato ferite più o meno gravi (molte da armi da fuoco) ad altre 443 e paralizzato la capitale per due giorni. Le uniche tracce evidenti, oltre a un notevole dispiegamento di polizia e militari, sono alcuni veicoli bruciati, le chiazze nera
stre sulle strade, dove sono stati incendiati gli pneumatici che hanno fuso lo strato superficiale dell’asfalto e le decine di lampioni stradali e di semafori messi fuori uso.
Maputo ha così dimostrato quello che realmente è e non l’isola felice che può sembrare al distratto uomo d’affari o al turista di un viaggio organizzato che viene in genere ospitato in hotel a 6 stelle o nelle zone esclusive della città. Una città dove pochi (e fra quei pochi, ci sono tutti i membri del governo e quelli che ricoprono le posizioni al top del partito al potere) godono e fanno sfoggio senza vergogna e senza ritegno di una ricchezza così grande da essere immorale solo per le sue proporzioni e dove molti (soprav)vivono alla giornata.
A Maputo in particolare e nel Paese in generale, una parte della società, costituita da chi gestisce il potere economico e politico è schizofrenica, profondamente malata, e vive, si comporta e parla come se vivesse a New York, Londra e Parigi e non nella capitale di uno dei Paesi più impoveriti del mondo. E dire che alcuni di loro, non tanto tempo fa, avevano combattuto per la libertà di questo popolo e per la realizzazione di una società più giusta e più umana.
Si spiega così la rabbia, il rancore, la perdita di fiducia nei confronti di una classe politica costituitasi in una vera casta, coinvolta in spaventose storie di corruzione e completamente aliena e distante dalla realtà del popolo.
Di fronte alla sommossa, alcuni membri dell'esecutivo se ne sono usciti con risposte insufficienti e addirittura stupide che hanno avuto come unico risultato quello di infiammare ancor di più gli animi. Una settimana dopo, il Governo ha finalmente varato un decreto che riporta molti prezzi (in primis quello dalle pane) a come stavano prima degli ultimi aumenti. Il decreto è valido fino alla fine dell’anno. Poi si vedrà.
(Potenziali) bambini soldato
Nel vedere le immagini dei disordini, sono rimasto molto colpito dal numero di giovani e giovanissimi coinvolto nella costruzione di barricate e nelle scaramucce con le forze dell’ordine. La guerriglia impari di Maputo (con giovani e ragazzi da un lato che lanciavano pietre e oggetti contundenti e, dall’altro, i militari e poliziotti che gli sparavano addosso con fucili a pompa e kalashnikov) ha mostrato chiaramente che nelle città del Mozambico esistono dei vasti eserciti disorganizzati e informali, costituiti dalle migliaia di bambini, ragazzi e giovani senza famiglia, senza lavoro e senza istruzione, pronti a scendere in strada (anche perché molti già ci vivono) per dar battaglia al minimo segnale di disordine e di rivolta.
I ragazzi di strada non sono nati così: lo sono diventati. Resi orfani dall’Aids, che ha portato via i genitori (le statistiche parlano di un milione di bambini/ragazzi in questa categoria), oppure vittime delle separazioni familiari sempre più frequenti in un Paese secondo al mondo per numero di matrimoni prematuri che regolarmente si disfano, lasciando giovani donne con due-tre bambini nella miseria più nera mentre il marito si sistema con qualcuna più giovane e più attraente.
I ragazzi in queste situazioni costituiscono un potenziale e impressionante serbatoio di rivoltosi in potenza. Hanno magari un tozzo di pane giornaliero su cui sopravvivere, ma vivono senza una famiglia e un po’ di affetto, senza istruzione, né sogni, né speranze, e potrebbero in qualsiasi momento paralizzare il Paese, specialmente se guidati da qualche capopopolo astuto e capace. E allora sarebbero in vari a doversi spostare in elicottero tra una città e l'altra e non solamente il presidente Guebuza che ultimamente ha preso gusto ad andarsene in giro in questi zanzaroni d’acciaio (affittati in Sudafrica) in barba alla miseria della sua gente.
Tutti (o quasi) al mare!
Domenica 12 settembre
La giornata è bellissima e decido di trascorrerla al mare. È la prima volta da quando sono arrivato e parto in direzione di Marracuene, a una trentina di km a nord est di Maputo. Per arrivare in spiaggia bisogna attraversare il fiume Inkomati e lì ritrovo il vecchio ferry boat che risale al tempo coloniale. Rabberciato e probabilmente con un nuovo motore, continua a fare la spola tra una riva e l’altra del fiume. Porta 6 macchine alla volta (dipendendo dal livello della marea che qui si fa ben sentire, salirci a volte è un’impresa, soprattutto se uno ha un veicolo basso) più qualche bici e moto, capre, galline e, naturalmente, gente. A volte sorgono dei problemi al ritorno, quando dopo abbondanti bevute sulla spiaggia, qualcuno non vuole aspettare in coda. Scoppiano discussioni animate, condite da urla, improperi e insulti ma difficilmente si viene alle mani anche perché l’equipaggio del ferry si rende utile anche come buttafuori in casi estremi.
In prossimità della spiaggia, noto che, negli ultimi anni, sono sorte varie zone di campeggio (l’ultima volta che sono passato di qui dev’essere stato nel 2000 e ne esisteva una sola ) e mi dirigo verso una di loro. Il posto ha un distinto sapore sudafricano e in effetti scopro che la gestione è in mano a dei connazionali di Mandela. Non c’è molta gente in giro perché l’estate non è ancora cominciata. Supero a piedi l’ultima duna e scendo in spiaggia: la brezza che spira dall’oceano è piacevolmente fresca e l’acqua irresistibilmente invitante. È il primo bagno in mare dal mio arrivo ed è decisamente un'esperienza da ripetere.
Nel pomeriggio assaggio un pesce appena pescato mentre guardo il Gran premio di Monza sul megatelevisore che troneggia nella sala da pranzo del complesso turistico. Impensabile anche solo qualche anno fa.
Di ritorno, celebro l’eucarestia nella chiesa del quartiere Polana, vicino al Seminario, dove ho lavorato negli anni 90. La chiesa, costruita negli anni 60, è interamente di cemento armato ed ha una forma decisamente insolita tanto che è stata ribattezzata da alcuni “lo spremiagrumi”.