sabato 16 aprile 2022

Buona Pasqua

 

Scrivo queste righe  la mattina del sabato santo. Tutto tace attorno alla nostra casa. Spira una brezza tesa e fresca. Che contrasto con il caldo torrido di ieri terminato con un gran temporalone che ha rovesciato un’enorme quantità di pioggia e anche della grandine in alcune zone!

Giovedì mattina sono andato in cattedrale per la messa crismale con l’arcivescovo. Era da anni che non vi mettevo piede e me la ricordavo buia, sporca e con le vetrate ancora mezze in frantumi in seguito all’esplosione dell’arsenale di Maputo nel 2007. Che bella sorpresa invece trovare l’edificio luminoso, pulito e ordinato. Senz’altro buona parte del merito va all’attuale parroco, don Giorgio Ferretti, un fidei donum della diocesi di Frosinone, incaricato della parrocchia della cattedrale dal 2017.

La chiesa era gremita. Tantissimi i sacerdoti concelebranti, molti dei quali non sono però  coinvolti nella pastorale ma bensì nell’amministrazione e formazione. Tanti anche i religiosi, le religiose, i giovani provenienti dai vari seminari e case di formazione e molti laici

Dopo il pranzo offertoci  dall’arcivescovo sono rientrato alla base e verso le 17.30 mi sono avviato su una strada sterrata che ha messo a dura prova gli ammortizzatori.( In effetti sto pensando di scrivere alla Toyota per offrirmi come collaudatore dei loro mezzi sulle nostre strade. Chiedo solo un mezzo nuovo ogni sei mesi e il mio tempo ce lo metto gratis! 😀 ) Dopo solo dieci chilometri, che hanno richiesto però più di mezz’ora, arrivo in una piccola comunità, una delle 20 che costituiscono la nostra parrocchia. Le persone, una trentina, sono assiepate nella piccola cappella dedicata alla Madonna del Rosario. Sono le 18 e si sta facendo buio. Dentro ci si vede a malapena. Chiedo se c’è un problema con l’impianto elettrico e mi rispondono che mancano i soldi per comperare la ricarica (in pratica funziona come una ricarica per il cellulare). Si procede quindi al lume di candela e delle lampadine dei cellulari. All’offertorio conto le monetine che mi vengono portate in un cestino. Diciassette meticais, pari a una ventina di centesimi. Di questo passo non ci saranno nemmeno i fondi per comperare le candele.

È una messa in coena domini agli antipodi della celebrazionein cattedrale qualche ora prima ma l’impegno che ci mettono è commovente. Cantano tutti e il piccolo edificio risuona delle melodie intonata nella lingua locale.

Il venerdì santo inizia con un gran caldo. Sono di turno alla sede centrale e la mattina facciamo le prove della Passione con i chierichetti. Si decide che si farà tutto all’aperto per l’enorme afflusso di persone che si prevede e per via della canicola. Alle 15 in punto il cortile della chiesa è già pieno. La cerimonia si svolge in forma ordinata e raccolta. Al termine mi fermo per le confessioni, insieme a due altri preti. Ne abbiamo fino alle 20 e torniamo a casa non tanto stanchi per le attività ma cotti dalla calura. Mentre mi sto guardando la Via crucis al Colosseo via internet scoppia un gran temporale. La luce se ne va ma sul cellulare il segnale rimane e così posso seguire la via crucis fino alla fine.

Oggi avremo battesimi di ragazzini e adulti e prime comunioni in 4 comunità. Domani in altre due, per un totale di circa 150 battesimi  e 40 prime comunioni. Ci saranno canti, danze, tanta allegria e un po’ di sana confusione. Tutto rigorosamente sotto il cielo stellato e al chiaro di luna. Sperando che Giove pluvio stasera se ne stia tranquillo.

Auguri vivissimi di una Santa Pasqua

giovedì 7 aprile 2022

Settimana santa

 

Oggi 7 aprile è vacanza in Mozambico. Si celebra il giorno della donna mozambicana. Fin dal mattino presto si vedevano gruppi di donne , molte vestite nei loro panni sgargianti che qui chiamano capulana. Fra poco più di una settimana sarà Pasqua e mi accorgo che sono ormai trascorsi due mesi dall’ultima entrata su questo mio diario che ormai si sta trasformando in bimestrale.

È stato un periodo caratterizzato da un gran caldo ( o almeno così l’ho percepito) e dalla quasi totale assenza di piogge che sembrano aver esaurito il loro carico poco dopo la prima metà di gennaio. Solo negli ultimi giorni sono arrivati degli acquazzoni e un po’ di refrigerio.


Dal 20 febbraio, con Bernhard (il confratello tedesco), siamo stati ufficialmente presentati come i nuovi parroci di Boane (cittadina e distretto). La situazione che abbiamo ereditato necessita di una revisione generale, visti i danni e le complicazioni causate dalla pandemia del Covid che ha permesso solo di muoversi con le marce ridotte e neanche in maniera regolare. Con l’aiuto degli altri due padri che hanno fatto da supplenti nel biennio passato stiamo cercando di ricostituire quelle commissioni che sono indispensabili per il buon funzionamento di una parrocchia così grande: catechesi, finanze, famiglia, pastorale sociale e liturgia. Al momento l’attenzione è rivolta soprattutto agli eletti, cioè a quei catecumeni che stanno per finire il loro cammino di preparazione ai sacramenti durato 3 anni e che saranno battezzati a Pasqua. Delle 21 comunità che compongono la parrocchia, 8 hanno dei catecumeni per un totale di circa 150 battesimi la notte di Pasqua e il giorno dopo. A questi si aggiungono una quarantina di prime comunioni. Come spesso capita, i nodi appaiono quando si applica il pettine alla capigliatura e in alcuni casi si tratta di fare una cernita che si doveva effettuare tempo fa.

La casa dove viviamo  (siamo entrati a fine gennaio) è quasi apposto ma bisogna sempre stare all’erta. Stamattina mentre montavo le tende nella stanza degli ospiti ho notato un mucchietto di terra in un angolo e ho temuto subito il peggio. Termiti! E infatti dietro tutto lo zoccolino lungo un’intera parete le bestioline erano al lavoro da qualche giorno e oltre ad aver lasciato intatta solo la vernice del battiscopa, avevano sostituito il legno con la terra che, una volta raccolta, ha riempito mezzo secchio.

Certo, i problemi veri sono ben altri, ma cosa si può fare di fronte alle catastrofi ricorrenti, provocate o “naturali”? La guerra civile nella provincia più a nord, quella di Cabo Delgado, continua a fare morti e a creare sfollati, malgrado l’intervento delle truppe del Ruanda e di una coalizione a livello regionale; la fine della stagione delle piogge si avvicina e con essa il costo dei danni provocati dai cicloni e dalle alluvioni: per dirne una: 6mila km di strade sono stati spazzati via dall’acqua negli ultimi mesi; la vita è sempre più cara: da quando sono arrivato in ottobre a oggi la benzina ( e i vari combustibili) è aumentata del 20%. Il prezzo adesso è di 77,39 meticais al litro, pari a un euro e 10cent. A buon mercato, se si paragona ai prezzi oravigenti in Europa, ma molto cara in rapporto alle tasche locali. Alcuni alimentari e generi di prima necessità hanno subito risentito di questi rincari e come sempre anche chi specula senza scrupoli si è subito dato da fare. Fatto sta che a corto raggio si intravedono sviluppi poco rassicuranti. Molta gente conosce bene le cause della situazione che stiamo vivendo e sa quello che non va e che andrebbe cambiato ma oramai prevale la tendenza a farsi gli affari propri e a tenere la bocca chiusa. Troppi tentativi di cambiamento sono stati vanificati da chi trae vantaggio che le cose continuino in un certo modo  e troppa gente che si è esposta dicendo quello che pensava è stata punita, anche con la morte.

Domenica chi andrà in chiesa ascolterà la narrazione della passione del Signore.  Mi torna alla mente la celebre frase di Pascal a proposito del Getsemani: «L’agonia di Cristo durerà fino alla fine del mondo. Non possiamo dormire in tutto questo tempo». Il dolore del mondo non può farci paura ma nemmeno farci girare dall’altra parte: lasciamoci toccare, almeno in parte, dalle sofferenze di gran parte  dell'umanità e chiediamoci cosa possiamo fare per alleviarlo dentro il limite delle nostre possibilità.

Buona settimana santa

giovedì 3 febbraio 2022

Divagazioni lungo l’Umbeluzi

 Chiesa- comunità

Sono le 7.30 di domenica 23 gennaio. Dopo un’alba grigia e con nuvole che minacciavano pioggia, il cielo si apre e un sole feroce comincia picchiare sulle nostre teste. Ci troviamo  all’interno di una chiesa che però non ha il tetto e quindi siamo alla mercè dei fenomeni naturali. Qualcuno tra gli anziani si copre la testa con un cappello o con un foulard e man mano che i raggi cocenti si fanno sempre più feroci, si aprono anche alcuni ombrelli. Le due chierichette, i lettori e il sottoscritto siamo nella zona d’ombra proiettata dal muro di quello che un giorno (forse) sarà il presbiterio ma abbiamo il tempo contato: la zona protetta si restringe lentamente ma inesorabilmente attorno a noi.

Sono nella comunità di padre Americo, uno dei 21 punti di preghiera in cui si riuniscono i parrocchiani di Boane. Per me, questa è la settima che visito, per la prima volta. Solo in un’occasione ho dovuto tornare indietro perché la strada a un certo punto non c’era più, spazzata via dalle piogge torrenziali dei giorni precedenti.

Dopo la messa il consiglio della comunità mi invita a fermarmi per le necessarie presentazioni. Sono una decina di laici, metà dei quali maestri e professori, a capo dei vari ministeri: liturgia, finanza, catechesi, caritas, speranza… Questa è davvero una chiesa ministeriale che, malgrado le mille difficoltà che l’attraversano, da ormai quarant’anni ceca di essere chiesa-comunione, basata sulla corresponsabilità e la condivisione dei servizi e dei ministeri. È così che la fede ha continuato a crescere anche durante gli anni terribili della guerra civile quando molte parrocchie sono rimaste senza preti per più di dieci anni. E questo ha fatto sì che anche le recenti tempeste che hanno sconvolto questa parrocchia non siano riuscite a spegnere la fiamma della fede.

Casa- fortezza

Dopo aver sperato (invano) di entrare all’inizio dell’anno nella casa in rifacimento, adesso ci siamo. L’ultima cosa urgente da sistemare era la questione sicurezza: tutti quelli che abbiamo consultato ci hanno detto che andare a vivere in un luogo relativamente isolato, senza un minimo di protezione, è cercare guai in un modo insensato. Così, seppure a malincuore, ci siamo dovuti adattare a richiedere l’appoggio di un istituto di vigilanza, non tanto per proteggere beni che non abbiamo ma per poterci semplicemente sentire tranquilli dentro i muri di casa. L’aumento della criminalità a tutti i livelli e la poca fiducia che si nutre nelle forze di polizia, tristemente famose per la loro scarsa efficacia e efficienza,  hanno fatto esplodere il settore delle compagnie di sicurezza. 

Non siamo ancora ai livelli del Sudafrica dove già anni fa le persone che lavoravano nel settore erano numericamente il doppio delle forze di polizia, ma siamo su quella strada. Così anche noi vivremo dietro alti muri con in cima il filo spinato o aguzzi cocci di bottiglia, una recinzione elettrica e persino un guardiano notturno armato. Triste ma necessario.

Cicloni e guerriglia

Ieri (24 gennaio) si è abbattuta sulle coste del centro nord del Mozambico la prima tempesta tropicale dell’anno. 

Pur non avendo la forza distruttrice di un ciclone, ha comunque causato parecchi danni, rovesciando impressionanti quantità di pioggia nel giro di poche ore che hanno fatto straripare alcuni fiumi già vicini al livello di guardia da qualche giorno. I nostri confratelli nelle zone centrali del Paese (soprattutto a Tete) hanno vissuto in prima persona situazioni drammatiche. Anche qui al sud la pioggia ha causato inconvenienti: non ha piovuto molto finora ma abbiamo a che fare con dei corsi d’acqua che nascono nei paesi vicini (Sudafrica e eSwatini) dove le precipitazioni sono in genere molto abbondanti in questo periodo. È per questa ragione che l’Umbeluzi, fiume che passa a qualche centinaio di metri dalla nostra abitazione, è cresciuto fino a sommergere uno dei guadi usati da persone e da mezzi, costringendo i più di 20mila abitanti della zona sull’altra riva a un lungo giro per recarsi in città. Proprio perché siamo ormai in piena stagione delle piogge, è alto il rischio di uno o più cicloni che potrebbero colpire la costa mozambicana da qui fino alla fine di marzo. In questi giorni il ciclone Batsirai sta minaccinado la costa orientale del Madagascar. Difficle al momentoprevedere se scaricherà sull'isola tutto il suo potenziale o se l'attreverserà giungendo nel canale del Mozambico dove l'acqua calda del mare potrebbe riattiarlo. La povera gente è rassegnata e spera solo che non succeda il peggio mentre le molte agenzie di soccorso locali e internazionali preparano i loro piani di emergenza, sicure dei fondi che in questi casi non mancano mai.

Si parla invece poco, almeno qui nel sud ( ed è comprensibile perché siamo a 2mila km dai luoghi tribolati) della guerriglia che continua a provocare morti, distruzione e un grande numero di sfollati (si parla di circa 4mila persone nelle ultime settimane). Il governo punta ancora sulla soluzione militare ma gli esperti sono concordi nel dire che è un approccio sbagliato e che potrà al massimo arginare il fenomeno ma non trovare delle vere soluzioni durature.

Spingi che partirà!

Mentre attraverso la piana dell’Umbeluzi, diretto alla sede della parrocchia, vedo segnali di speranza e di preoccupazione: campi rigogliosi che promettono ottimi raccolti e zone allagate dove crescerà ben poco. Ville lussuose si alternano a catapecchie dove non dovrebbero vivere nemmeno gli animali. La strada è trafficata e sfrecciano via veloci, dove si può, alcuni grossi SUV. Ogni tanto, avvolti in genere da una nube di gas di scarico, appaiono anche degli autobus di linea che rischiano di sfasciarsi ad ogni momento, sovraffollati all’estremo, con buona parte dei passeggeri con tanto di mascherina in ottemperanza alle norme vigenti, la cui efficacia è però alquanto discutibile, viste le condizioni.

Xova, xitaduma! grida in shangana l’autista di un mezzo fatiscente a un giovanotto madido di sudore che ce la sta mettendo tutta per far avanzare il veicolo verso una leggera discesa. “Spingi che parte!”. Non è detto, ma in certi momenti  è l’unica cosa che rimane da fare.

lunedì 24 gennaio 2022

Articolo pubblicato sul Popolo Cattolico di Treviglio a dicembre

 Mozambico

Nuova comunità dei Padri Bianchi a Boane

Padre Claudio Zuccala,originario della Valle Imagna (BG), ci invia le sue prime riflessioni dal Mozambico, Paese in cui è arrivato come giovane missionario più di trent’anni fa. Dopo alcuni anni di presenza e di servizio nella comunità di Treviglio è ripartito per ritrovare  il suo “primo amore”. Ancora senza “fissa dimora” ma fiducioso in una soluzione a breve termine ci parla del presente partendo dall’inizio della vicenda personale storia che lo lega alla Pérola do Índico

Un ritorno che sa di nuovo inizio

Sono tornato in Mozambico l’11 di ottobre 2021, dopo poco più di 5 anni di presenza in Italia, nella comunità dei Missionari d’Africa a Treviglio.

Questo è stato il primo Paese africano dove sono giunto come giovane prete con nemmeno un anno di ordinazione, nell’ormai lontano maggio del 1988. Il battesimo africano era avvenuto qualche anno prima, in Malawi, prima di intraprendere gli studi di teologia a Londra.

 La prima destinazione fu Manga, un sobborgo della seconda città del paese, Beira, balzata alla notorietà un paio d’anni fa come vittima principale del pauroso ciclone Idai che la investì in pieno. Dopo i primi anni in parrocchia in un contesto di guerra civile e di “spoliazione” della Chiesa in termini di perdita di potere, influenza e strutture, ho avuto la fortuna, negli anni novanta, di lavorare come professore e formatore negli unici seminari interdiocesani a Maputo, la capitale del Mozambico, e a Matola, nel profondo sud del Paese. È stato un periodo in cui la Chiesa e il Paese sembravano destinati ad intraprendere un cammino lineare di rinascita e di ricostruzione dalla cenere delle terribili distruzioni causate da quindici anni di guerra civile fratricida. Pochi pensavano allora che il cammino sarebbe stato molto accidentato e con parecchi episodi di involuzione.

Nel 2010, al termine di un periodo settennale alla direzione della rivista Africa, riapprodai sulle coste della Perla dell’Oceano Indiano per un periodo di altri 4 anni intervallati da un biennio in Zambia.  Questo è dunque, dopo aver abbondantemente superato la boa dei sessant’anni, l’inizio della quarta fase di vita missionaria in Mozambico e nella sua chiesa e mi sembra più appropriato  parlare di una ripartenza piuttosto che di un semplice ritorno. Il Paese infatti, come il resto del continente africano, si è mosso e sta cambiando ad una velocità vertiginosa per cui, se è pur vero che la storia è sempre maestra di vita, il presente pone domande e sfide inedite che richiedono risposte altrettanto innovative e originali.

La scelta di Boane

È da circa due anni che i Missionari d’Africa decisero di riprendere, dopo quasi vent’anni, una presenza nel sud del paese, il più possibile vicino a Maputo, dato che è molto utile avere un pied-a-terre nella capitale dov’è, purtroppo, accentrata la maggior parte dei servizi. L’arcivescovo di Maputo, il francescano Francisco Chimoio, ormai nell’ultimo anno del suo mandato, si mostrò molto compiaciuto del nostro arrivo, visto che furono proprio i Padri Bianchi i suoi primi formatori quando entrò in Seminario nel lontano 1960, ma ci disse anche, a chiare lettere, che non aveva nulla da offrirci dentro l’area cittadina. Come controproposta, indico la realtà di Boane, una zona e una parrocchia molto ampia a una quarantina di chilometri da Maputo, lungo la strada che porta al vicino eSwatini, (ex Swaziland). Boane è anche il nome di della città e dell’omonimo distretto, una zona largamente rurale fino a una ventina d’anni fa mentre oggi, con il quintuplo (250mila ca) degli abitanti di allora, si trova ad affrontare una fase di massiccia urbanizzazione.

La parrocchia di Boane si estende su un’area di circa 820 kmq (la metà di quella della città metropolitana di Milano) e oltre alla sede principale, in città, è costituita da 21 piccole comunità dove i fedeli si trovano regolarmente per pregare insieme, riflettere, analizzare bisogni e problemi. Probabilmente la pandemia ha interrotto la regolarità degli incontri ma lo scopriremo solo visitando la zona.

Da un paio d’anni non ci sono sacerdoti a tempo pieno anche se due membri dell’istituto dei Salvatoriani che abitano a una decina di chilometri vi prestano servizio regolare. È qui, alle porte di Boane,  che ci è stata offerta un’abitazione appartenente ai missionari di Picpus che l’avevano costruita come centro di formazione. Per evitare che la casa venisse saccheggiata, è stato chiesto a un certo numero di persone  di occuparla. Probabilmente però non è stato spiegato loro come si mantiene una casa e non si sono dati nemmeno i mezzi per farlo, per cui, pur essendo sano strutturalmente, l’edificio ha bisogno di parecchi interventi e di una pulizia radicale prima che possa diventare di nuovo abitabile. Inoltre all’interno non è rimasto quasi più nulla per cui bisognerà pensare a rifornirla con il minimo indispensabile. Per quel che mi riguarda, finora (siamo a fine novembre) ho goduto dell’ospitalità di due famiglie di amici che molto generosamente mi hanno alloggiato nelle loro case in città, il che si è rivelato molto utile dovendo andare da un ufficio all’altro. Tra una settimana arriverà un mio confratello tedesco che rimarrà qualche giorno in casa del vescovo e poi ci piacerebbe poter entrare a “casa nostra” per Natale anche se non è così sicuro che ce la faremo coni tempi.

Prospettive per il futuro

La burocrazia mi ha portato via un sacco di tempo in questo inizio così come il riabituarsi a tante cose pratiche in parte dimenticate o totalmente nuove. Altro tempo, ma almeno questo utilizzato bene, è stato usato per riannodare rapporti e stabilirne altri.

Pensando a quello che verrà è difficile farsi un’idea chiara di quello che ci aspetta e di cosa riusciremo a fare. Dovremo misurare le nostre forze primo perché noi due, i “pionieri” di questa presenza, non siamo più dei giovanotti e poi per cercare di continuare la collaborazione con chi ha tirato la carretta fino ad ora.

Conoscere la realtà in cui andremo ad operare sarà fondamentale; non dovremmo avere problemi di comunicazione verbale visto che parliamo la lingua ufficiale, il portoghese, molto diffuso nelle zone urbane. Forse avremo bisogno di traduttori andando a visitare le comunità più distanti dalla sede centrale dove, credo, la maggior parte della gente usa la lingua locale, lo shangana,  affine allo tsonga, parlato nel vicino Sudafrica. Mi piacerebbe avventurarmi nello studio della lingua del posto perché non solo ti apre un mondo nuovo ma ti aiuta a capire la cultura del posto che è la culla dove nasce ogni forma di linguaggio. Guardando alla mia carta di identità a volte penso che sia un tentativo un po’ velleitario ma credo che sia una giocata da tentare.

Anche se abbiamo voglia e intenzione di metterci all’opera fin da subito, sarà bene non cedere alla tentazione di buttarsi anima e corpo nel “fare”. Sono convinto che, in questo nostro tempo, le opere ormai non stiano più al centro della missione e che l’epoca presente esiga da parte di noi tutti una re-visitazione e una costante attualizzazione del concetto di missione. Penso che il cuore della missione sia quello che ha sempre dato i maggiori frutti: la testimonianza di una vita evangelica, semplice e casta. Certo, niente di nuovo, ma quante volte abbiamo agito con totale coerenza e in sintonia con questo principio e fondamento e non ci siamo invece buttati anima e corpo nella creazione di strutture che adesso non sappiamo come mantenere? Oggi siamo piuttosto chiamati ad essere sempre più una Chiesa che si fa conoscere per la capacità di stare vicino e di prendere il lato degli ultimi, segno di comunione e strumento di riconciliazione di pace piuttosto che per lo sforzo  di recuperare una posizione di forza e di influenza ormai forse persi per sempre.

Sicuramente qualche decennio fa la definizione della missione ad gentes era più netta: oggi viviamo una situazione più fluida e tutto ne risente. All’occhio attento però emergono o ritornano ad occupare importanza  nuove direzioni e sottolineature. Pensiamo per esempio all’impegno per l’ecologia integrale a cui ci richiama regolarmente papa Francesco e che solo qualche anno fa non sarebbe stato minimamente sfiorato parlando dello specifico della missione ad gentes. Oppure a temi come l’opzione fondamentale per i poveri (o meglio, gli impoveriti) e la liberazione, forse accantonati perché rischiavano di essere politicizzati ma tornati oggi prepotentemente in prima linea.

Chiudo con una riflessione che mi è venuta fatta mentre osservavo,un paio di giorni fa, gli 80 giovani cresimati (150 in due giorni) durante una celebrazione marcata dalle coinvolgenti danze e canti in shangana. Ecco una grande risorsa dell’Africa e della chiesa locale: la sua giovinezza e la sua vitalità. Il 50 % della popolazione mozambicana è sotto i 14 anni. A questi giovani, soprattutto, siamo inviati e chiamati ad offrire una testimonianza semplice e autentica della bellezza della fede e della gioia profonda e vera che troveranno nell’incontrare Gesù che, pur con la nostra povertà e i nostri limiti, saremo capaci di presentargli.

A tutti quelli che leggeranno queste righe mando i miei più cari auguri per un anno nuovo ricco di benedizioni. Che il Signore conceda a ciascuno di voi quello di cui ha più bisogno per essere davvero felice e testimone del suo amore.

Un caro saluto

martedì 28 dicembre 2021

24-26 dicembre

 

24. Vigilia di Natale

In parrocchia siamo rimasti in 3. I luoghi di preghiera sono 21, alcuni con una cappella in muratura, altri sotto un albero. Le comunità variano di molto in dimensione e per questo, finora, nei giorni di festa si tende a privilegiare quelle più numerose.

La chiesetta di Boane risalente agli anni 50
Il 24 sera celebro in quella che è chiamata la sede centrale, dove si trovano gli uffici parrocchiali e una piccola chiesetta che risale al tempo coloniale. Vicino c’è un salone parrocchiale che è anche adibito a chiesa. Ma, in quest’epoca dominata dal Covid, tempo permettendo, si celebra all’aperto dove è sempre più fresco e areato che all’interno del capannone.

La messa della notte comincia alle 19, dopo che è sceso il buio. Prima della celebrazione ho avuto, durante un’ora e mezzo, una fila ininterrotta di persone che sono venute per ricevere il sacramento della riconciliazione.

Non c’è il pienone nel piazzale dietro la chiesa ma in ogni caso l’atmosfera è allegra e il piccolo coro trascina l’assemblea con canti in portoghese e xangana, accompagnati dal ritmico rullare dei tamburi. Sotto la potente lampada al neon la tovaglia bianca sull’altare comincia a pullulare di insetti neri di tutte le fogge. Attratti dalla luce sopra l'altare finiscono inevitabilmente per cadere in basso. Calice e patena vanno mantenuti rigorosamente coperti per evitare insalate russe poco appetibili!

Dopo la messa passo a prendere Bernhard perché siamo invitati a cena da una famiglia. Il papà, Rafael, cinquant’anni, è nato a Beira e l’ho conosciuto quando, diciottenne, faceva parte del gruppo dei giovani di São Benedito. Dopo aver conseguito la laurea in veterinaria è oggi un professionista affermato con figli grandi. Il primogenito ha studiato in Polonia e ha deciso di rimanervi dopo gli studi.Il secondo è appena tornato da Budapest dopo aver terminato un corso triennale di fotografia. Durante il pasto ci chiedono dove festeggeremo il Natale. Rispondiamo che avevamo pensato di farlo con le suore che vivono in parrocchia ma siccome entrambe le loro comunità sono in quarantena per via di alcuni casi di Covid, lo celebreremo in casa noi tre da soli. " Non se ne parla affatto"  interviene Noémia, la moglie di Rafael. “Domani organizziamo un pranzo per una ventina di persone a casa nostra per cui dovete assolutamente unirvi a noi!” Rispondo per tutti dicendo che di fronte a un invito così pressante resta solo l’accettazione incondizionata e ci congediamo dandoci l’appuntamento per l’indomani.

25 dicembre. Natale

Processione d'entrata
Il giorno di Natale inizia con un bellissimo cielo azzurro e con temperature notevoli già alle 7 del mattino. La messa comincia alle 8, neanche a farlo apposta nella chiesa in costruzione della comunità di Noémia e Rafael. Presiedo l’eucarestia e concelebra con me il mio confratello Bernhard. Durante la messa battezziamo due adulti e tre bambine. All’inizio la vedo dura perché, a parte una misera tettoia sopra l’altare, siamo tutti sotto il sole cocente. Poi qualcuno lassù ha pietà di noi e manda una copertura nuvolosa che ci protegge fino alla fine della celebrazione.
Messa "open"

Dopo aver salutato le persone presenti (forse una cinquantina) siamo ripartiti alla volta della casa di Rafael dove era stato preparato un vero e proprio banchetto. I nostri anfitrioni erano anche i padrini delle due donne battezzate durante la messa per cui anche loro e alcuni famigliari erano presenti al banchetto.

26 dicembre (Sacra famiglia)

La mattina è grigia e il cielo minaccia pioggia ma in effetti non cadranno che poche gocce. Ritorno alla sede centrale per la messa delle 8. Dalla casa dei Salvatoriani, dove siamo temporaneamente alloggiati, ci sono circa 8 km e la strada è buona e praticamente deserta a quell’ora. Non sono che un ricordo le file interminabili di persone in attesa davanti ai negozi e agli sportelli ATM di appena 36 ore prima. Come sempre, e come in molte parti del mondo, sono caduti nel vuoto gli appelli per un approccio più razionale agli acquisti in concomitanza con le festività. Quello che fa sorridere (amaramente) è che nei luoghi pubblici (chiese comprese) sono in atto severi protocolli di sicurezza e prevenzione mentre negozi e mezzi di trasporto sono presi d’assalto da numeri impressionanti di persone, in barba ad ogni regola e anche al buon senso. Non ci sono dubbi che la variante Omicron si stia propagando ad una velocità pazzesca ma siccome sono pochissimi i casi gravi, c’è una sorte di rassegnazione di fronte all’inevitabilità del contagio su larga scala.

martedì 21 dicembre 2021

10 -21 dicembre Avvicinamento a Boane

 


Il giorno 10 Bernhard ha deciso di trasferirsi in casa dei padri Salvatoriani che abitano a 7/8km da Boane mentre io ho fatto un po’ di avanti indietro da Maputo per via di varie faccende da sistemare e alcuni impegni presi in precedenza. 

I lavori procedono ora ad un ritmo più serrato e non è detto che non riusciamo ad entrare in casa “nostra” in un tempo ragionevolmente breve (io spero 2 settimane al massimo). Per un po’ di tempo saremo ancora accampati ma stando sul posto si migliorerà qualcosa ogni giorno. Pian piano e con un po’ di aiuti che arriveranno (a questo proposito ho anche presentato un mini-progetto sul nostro sito https://www.missionaridafrica.org/mozambico-recupero-casa-di-boane/ ) speriamo di rendere la nostra residenza un posto accogliente e decente.

La casa è a un solo km dalla strada provinciale ma uno si sente in campagna. La città di Boane in sé non offre nulla di attraente: il grosso agglomerato che ora conta più di 100 mila persone è nata ai bordi della strada principale che va verso il regno di Eswatini. Fino all’indipendenza del paese (1975) la realtà più importante era il Centro di addestramento militare per la formazione di ufficiali e la popolazione contava qualche migliaia di persone. Oggi è un territorio investito da un’inarrestabile processo di urbanizzazione con tutte le problematiche che ciò può comportare.




Ieri il presidente ha annunciato che le misure implementate qualche mese fa rimarranno vigore (capacità limitati per luoghi di aggregazione come chiese, palestre,etc., obbligo della mascherina in qualsiasi locale pubblico, chiusura della spiaggie più popolari, proibizione di vendita di bevande alcoliche nel fine settimana e divieto di cercolazione da mezzanotte alle 5 con 2 eccezioni: la notte di Natale e l'ultimo dell'anno. 

I casi di Covid stanno aumentanto esponnenzialmente (una decina  casi al giorno all'inizio del mese e ora quasi mille). Praticamente a zero il numero di morti accertati.