giovedì 3 febbraio 2022

Divagazioni lungo l’Umbeluzi

 Chiesa- comunità

Sono le 7.30 di domenica 23 gennaio. Dopo un’alba grigia e con nuvole che minacciavano pioggia, il cielo si apre e un sole feroce comincia picchiare sulle nostre teste. Ci troviamo  all’interno di una chiesa che però non ha il tetto e quindi siamo alla mercè dei fenomeni naturali. Qualcuno tra gli anziani si copre la testa con un cappello o con un foulard e man mano che i raggi cocenti si fanno sempre più feroci, si aprono anche alcuni ombrelli. Le due chierichette, i lettori e il sottoscritto siamo nella zona d’ombra proiettata dal muro di quello che un giorno (forse) sarà il presbiterio ma abbiamo il tempo contato: la zona protetta si restringe lentamente ma inesorabilmente attorno a noi.

Sono nella comunità di padre Americo, uno dei 21 punti di preghiera in cui si riuniscono i parrocchiani di Boane. Per me, questa è la settima che visito, per la prima volta. Solo in un’occasione ho dovuto tornare indietro perché la strada a un certo punto non c’era più, spazzata via dalle piogge torrenziali dei giorni precedenti.

Dopo la messa il consiglio della comunità mi invita a fermarmi per le necessarie presentazioni. Sono una decina di laici, metà dei quali maestri e professori, a capo dei vari ministeri: liturgia, finanza, catechesi, caritas, speranza… Questa è davvero una chiesa ministeriale che, malgrado le mille difficoltà che l’attraversano, da ormai quarant’anni ceca di essere chiesa-comunione, basata sulla corresponsabilità e la condivisione dei servizi e dei ministeri. È così che la fede ha continuato a crescere anche durante gli anni terribili della guerra civile quando molte parrocchie sono rimaste senza preti per più di dieci anni. E questo ha fatto sì che anche le recenti tempeste che hanno sconvolto questa parrocchia non siano riuscite a spegnere la fiamma della fede.

Casa- fortezza

Dopo aver sperato (invano) di entrare all’inizio dell’anno nella casa in rifacimento, adesso ci siamo. L’ultima cosa urgente da sistemare era la questione sicurezza: tutti quelli che abbiamo consultato ci hanno detto che andare a vivere in un luogo relativamente isolato, senza un minimo di protezione, è cercare guai in un modo insensato. Così, seppure a malincuore, ci siamo dovuti adattare a richiedere l’appoggio di un istituto di vigilanza, non tanto per proteggere beni che non abbiamo ma per poterci semplicemente sentire tranquilli dentro i muri di casa. L’aumento della criminalità a tutti i livelli e la poca fiducia che si nutre nelle forze di polizia, tristemente famose per la loro scarsa efficacia e efficienza,  hanno fatto esplodere il settore delle compagnie di sicurezza. 

Non siamo ancora ai livelli del Sudafrica dove già anni fa le persone che lavoravano nel settore erano numericamente il doppio delle forze di polizia, ma siamo su quella strada. Così anche noi vivremo dietro alti muri con in cima il filo spinato o aguzzi cocci di bottiglia, una recinzione elettrica e persino un guardiano notturno armato. Triste ma necessario.

Cicloni e guerriglia

Ieri (24 gennaio) si è abbattuta sulle coste del centro nord del Mozambico la prima tempesta tropicale dell’anno. 

Pur non avendo la forza distruttrice di un ciclone, ha comunque causato parecchi danni, rovesciando impressionanti quantità di pioggia nel giro di poche ore che hanno fatto straripare alcuni fiumi già vicini al livello di guardia da qualche giorno. I nostri confratelli nelle zone centrali del Paese (soprattutto a Tete) hanno vissuto in prima persona situazioni drammatiche. Anche qui al sud la pioggia ha causato inconvenienti: non ha piovuto molto finora ma abbiamo a che fare con dei corsi d’acqua che nascono nei paesi vicini (Sudafrica e eSwatini) dove le precipitazioni sono in genere molto abbondanti in questo periodo. È per questa ragione che l’Umbeluzi, fiume che passa a qualche centinaio di metri dalla nostra abitazione, è cresciuto fino a sommergere uno dei guadi usati da persone e da mezzi, costringendo i più di 20mila abitanti della zona sull’altra riva a un lungo giro per recarsi in città. Proprio perché siamo ormai in piena stagione delle piogge, è alto il rischio di uno o più cicloni che potrebbero colpire la costa mozambicana da qui fino alla fine di marzo. In questi giorni il ciclone Batsirai sta minaccinado la costa orientale del Madagascar. Difficle al momentoprevedere se scaricherà sull'isola tutto il suo potenziale o se l'attreverserà giungendo nel canale del Mozambico dove l'acqua calda del mare potrebbe riattiarlo. La povera gente è rassegnata e spera solo che non succeda il peggio mentre le molte agenzie di soccorso locali e internazionali preparano i loro piani di emergenza, sicure dei fondi che in questi casi non mancano mai.

Si parla invece poco, almeno qui nel sud ( ed è comprensibile perché siamo a 2mila km dai luoghi tribolati) della guerriglia che continua a provocare morti, distruzione e un grande numero di sfollati (si parla di circa 4mila persone nelle ultime settimane). Il governo punta ancora sulla soluzione militare ma gli esperti sono concordi nel dire che è un approccio sbagliato e che potrà al massimo arginare il fenomeno ma non trovare delle vere soluzioni durature.

Spingi che partirà!

Mentre attraverso la piana dell’Umbeluzi, diretto alla sede della parrocchia, vedo segnali di speranza e di preoccupazione: campi rigogliosi che promettono ottimi raccolti e zone allagate dove crescerà ben poco. Ville lussuose si alternano a catapecchie dove non dovrebbero vivere nemmeno gli animali. La strada è trafficata e sfrecciano via veloci, dove si può, alcuni grossi SUV. Ogni tanto, avvolti in genere da una nube di gas di scarico, appaiono anche degli autobus di linea che rischiano di sfasciarsi ad ogni momento, sovraffollati all’estremo, con buona parte dei passeggeri con tanto di mascherina in ottemperanza alle norme vigenti, la cui efficacia è però alquanto discutibile, viste le condizioni.

Xova, xitaduma! grida in shangana l’autista di un mezzo fatiscente a un giovanotto madido di sudore che ce la sta mettendo tutta per far avanzare il veicolo verso una leggera discesa. “Spingi che parte!”. Non è detto, ma in certi momenti  è l’unica cosa che rimane da fare.

lunedì 24 gennaio 2022

Articolo pubblicato sul Popolo Cattolico di Treviglio a dicembre

 Mozambico

Nuova comunità dei Padri Bianchi a Boane

Padre Claudio Zuccala,originario della Valle Imagna (BG), ci invia le sue prime riflessioni dal Mozambico, Paese in cui è arrivato come giovane missionario più di trent’anni fa. Dopo alcuni anni di presenza e di servizio nella comunità di Treviglio è ripartito per ritrovare  il suo “primo amore”. Ancora senza “fissa dimora” ma fiducioso in una soluzione a breve termine ci parla del presente partendo dall’inizio della vicenda personale storia che lo lega alla Pérola do Índico

Un ritorno che sa di nuovo inizio

Sono tornato in Mozambico l’11 di ottobre 2021, dopo poco più di 5 anni di presenza in Italia, nella comunità dei Missionari d’Africa a Treviglio.

Questo è stato il primo Paese africano dove sono giunto come giovane prete con nemmeno un anno di ordinazione, nell’ormai lontano maggio del 1988. Il battesimo africano era avvenuto qualche anno prima, in Malawi, prima di intraprendere gli studi di teologia a Londra.

 La prima destinazione fu Manga, un sobborgo della seconda città del paese, Beira, balzata alla notorietà un paio d’anni fa come vittima principale del pauroso ciclone Idai che la investì in pieno. Dopo i primi anni in parrocchia in un contesto di guerra civile e di “spoliazione” della Chiesa in termini di perdita di potere, influenza e strutture, ho avuto la fortuna, negli anni novanta, di lavorare come professore e formatore negli unici seminari interdiocesani a Maputo, la capitale del Mozambico, e a Matola, nel profondo sud del Paese. È stato un periodo in cui la Chiesa e il Paese sembravano destinati ad intraprendere un cammino lineare di rinascita e di ricostruzione dalla cenere delle terribili distruzioni causate da quindici anni di guerra civile fratricida. Pochi pensavano allora che il cammino sarebbe stato molto accidentato e con parecchi episodi di involuzione.

Nel 2010, al termine di un periodo settennale alla direzione della rivista Africa, riapprodai sulle coste della Perla dell’Oceano Indiano per un periodo di altri 4 anni intervallati da un biennio in Zambia.  Questo è dunque, dopo aver abbondantemente superato la boa dei sessant’anni, l’inizio della quarta fase di vita missionaria in Mozambico e nella sua chiesa e mi sembra più appropriato  parlare di una ripartenza piuttosto che di un semplice ritorno. Il Paese infatti, come il resto del continente africano, si è mosso e sta cambiando ad una velocità vertiginosa per cui, se è pur vero che la storia è sempre maestra di vita, il presente pone domande e sfide inedite che richiedono risposte altrettanto innovative e originali.

La scelta di Boane

È da circa due anni che i Missionari d’Africa decisero di riprendere, dopo quasi vent’anni, una presenza nel sud del paese, il più possibile vicino a Maputo, dato che è molto utile avere un pied-a-terre nella capitale dov’è, purtroppo, accentrata la maggior parte dei servizi. L’arcivescovo di Maputo, il francescano Francisco Chimoio, ormai nell’ultimo anno del suo mandato, si mostrò molto compiaciuto del nostro arrivo, visto che furono proprio i Padri Bianchi i suoi primi formatori quando entrò in Seminario nel lontano 1960, ma ci disse anche, a chiare lettere, che non aveva nulla da offrirci dentro l’area cittadina. Come controproposta, indico la realtà di Boane, una zona e una parrocchia molto ampia a una quarantina di chilometri da Maputo, lungo la strada che porta al vicino eSwatini, (ex Swaziland). Boane è anche il nome di della città e dell’omonimo distretto, una zona largamente rurale fino a una ventina d’anni fa mentre oggi, con il quintuplo (250mila ca) degli abitanti di allora, si trova ad affrontare una fase di massiccia urbanizzazione.

La parrocchia di Boane si estende su un’area di circa 820 kmq (la metà di quella della città metropolitana di Milano) e oltre alla sede principale, in città, è costituita da 21 piccole comunità dove i fedeli si trovano regolarmente per pregare insieme, riflettere, analizzare bisogni e problemi. Probabilmente la pandemia ha interrotto la regolarità degli incontri ma lo scopriremo solo visitando la zona.

Da un paio d’anni non ci sono sacerdoti a tempo pieno anche se due membri dell’istituto dei Salvatoriani che abitano a una decina di chilometri vi prestano servizio regolare. È qui, alle porte di Boane,  che ci è stata offerta un’abitazione appartenente ai missionari di Picpus che l’avevano costruita come centro di formazione. Per evitare che la casa venisse saccheggiata, è stato chiesto a un certo numero di persone  di occuparla. Probabilmente però non è stato spiegato loro come si mantiene una casa e non si sono dati nemmeno i mezzi per farlo, per cui, pur essendo sano strutturalmente, l’edificio ha bisogno di parecchi interventi e di una pulizia radicale prima che possa diventare di nuovo abitabile. Inoltre all’interno non è rimasto quasi più nulla per cui bisognerà pensare a rifornirla con il minimo indispensabile. Per quel che mi riguarda, finora (siamo a fine novembre) ho goduto dell’ospitalità di due famiglie di amici che molto generosamente mi hanno alloggiato nelle loro case in città, il che si è rivelato molto utile dovendo andare da un ufficio all’altro. Tra una settimana arriverà un mio confratello tedesco che rimarrà qualche giorno in casa del vescovo e poi ci piacerebbe poter entrare a “casa nostra” per Natale anche se non è così sicuro che ce la faremo coni tempi.

Prospettive per il futuro

La burocrazia mi ha portato via un sacco di tempo in questo inizio così come il riabituarsi a tante cose pratiche in parte dimenticate o totalmente nuove. Altro tempo, ma almeno questo utilizzato bene, è stato usato per riannodare rapporti e stabilirne altri.

Pensando a quello che verrà è difficile farsi un’idea chiara di quello che ci aspetta e di cosa riusciremo a fare. Dovremo misurare le nostre forze primo perché noi due, i “pionieri” di questa presenza, non siamo più dei giovanotti e poi per cercare di continuare la collaborazione con chi ha tirato la carretta fino ad ora.

Conoscere la realtà in cui andremo ad operare sarà fondamentale; non dovremmo avere problemi di comunicazione verbale visto che parliamo la lingua ufficiale, il portoghese, molto diffuso nelle zone urbane. Forse avremo bisogno di traduttori andando a visitare le comunità più distanti dalla sede centrale dove, credo, la maggior parte della gente usa la lingua locale, lo shangana,  affine allo tsonga, parlato nel vicino Sudafrica. Mi piacerebbe avventurarmi nello studio della lingua del posto perché non solo ti apre un mondo nuovo ma ti aiuta a capire la cultura del posto che è la culla dove nasce ogni forma di linguaggio. Guardando alla mia carta di identità a volte penso che sia un tentativo un po’ velleitario ma credo che sia una giocata da tentare.

Anche se abbiamo voglia e intenzione di metterci all’opera fin da subito, sarà bene non cedere alla tentazione di buttarsi anima e corpo nel “fare”. Sono convinto che, in questo nostro tempo, le opere ormai non stiano più al centro della missione e che l’epoca presente esiga da parte di noi tutti una re-visitazione e una costante attualizzazione del concetto di missione. Penso che il cuore della missione sia quello che ha sempre dato i maggiori frutti: la testimonianza di una vita evangelica, semplice e casta. Certo, niente di nuovo, ma quante volte abbiamo agito con totale coerenza e in sintonia con questo principio e fondamento e non ci siamo invece buttati anima e corpo nella creazione di strutture che adesso non sappiamo come mantenere? Oggi siamo piuttosto chiamati ad essere sempre più una Chiesa che si fa conoscere per la capacità di stare vicino e di prendere il lato degli ultimi, segno di comunione e strumento di riconciliazione di pace piuttosto che per lo sforzo  di recuperare una posizione di forza e di influenza ormai forse persi per sempre.

Sicuramente qualche decennio fa la definizione della missione ad gentes era più netta: oggi viviamo una situazione più fluida e tutto ne risente. All’occhio attento però emergono o ritornano ad occupare importanza  nuove direzioni e sottolineature. Pensiamo per esempio all’impegno per l’ecologia integrale a cui ci richiama regolarmente papa Francesco e che solo qualche anno fa non sarebbe stato minimamente sfiorato parlando dello specifico della missione ad gentes. Oppure a temi come l’opzione fondamentale per i poveri (o meglio, gli impoveriti) e la liberazione, forse accantonati perché rischiavano di essere politicizzati ma tornati oggi prepotentemente in prima linea.

Chiudo con una riflessione che mi è venuta fatta mentre osservavo,un paio di giorni fa, gli 80 giovani cresimati (150 in due giorni) durante una celebrazione marcata dalle coinvolgenti danze e canti in shangana. Ecco una grande risorsa dell’Africa e della chiesa locale: la sua giovinezza e la sua vitalità. Il 50 % della popolazione mozambicana è sotto i 14 anni. A questi giovani, soprattutto, siamo inviati e chiamati ad offrire una testimonianza semplice e autentica della bellezza della fede e della gioia profonda e vera che troveranno nell’incontrare Gesù che, pur con la nostra povertà e i nostri limiti, saremo capaci di presentargli.

A tutti quelli che leggeranno queste righe mando i miei più cari auguri per un anno nuovo ricco di benedizioni. Che il Signore conceda a ciascuno di voi quello di cui ha più bisogno per essere davvero felice e testimone del suo amore.

Un caro saluto

martedì 28 dicembre 2021

24-26 dicembre

 

24. Vigilia di Natale

In parrocchia siamo rimasti in 3. I luoghi di preghiera sono 21, alcuni con una cappella in muratura, altri sotto un albero. Le comunità variano di molto in dimensione e per questo, finora, nei giorni di festa si tende a privilegiare quelle più numerose.

La chiesetta di Boane risalente agli anni 50
Il 24 sera celebro in quella che è chiamata la sede centrale, dove si trovano gli uffici parrocchiali e una piccola chiesetta che risale al tempo coloniale. Vicino c’è un salone parrocchiale che è anche adibito a chiesa. Ma, in quest’epoca dominata dal Covid, tempo permettendo, si celebra all’aperto dove è sempre più fresco e areato che all’interno del capannone.

La messa della notte comincia alle 19, dopo che è sceso il buio. Prima della celebrazione ho avuto, durante un’ora e mezzo, una fila ininterrotta di persone che sono venute per ricevere il sacramento della riconciliazione.

Non c’è il pienone nel piazzale dietro la chiesa ma in ogni caso l’atmosfera è allegra e il piccolo coro trascina l’assemblea con canti in portoghese e xangana, accompagnati dal ritmico rullare dei tamburi. Sotto la potente lampada al neon la tovaglia bianca sull’altare comincia a pullulare di insetti neri di tutte le fogge. Attratti dalla luce sopra l'altare finiscono inevitabilmente per cadere in basso. Calice e patena vanno mantenuti rigorosamente coperti per evitare insalate russe poco appetibili!

Dopo la messa passo a prendere Bernhard perché siamo invitati a cena da una famiglia. Il papà, Rafael, cinquant’anni, è nato a Beira e l’ho conosciuto quando, diciottenne, faceva parte del gruppo dei giovani di São Benedito. Dopo aver conseguito la laurea in veterinaria è oggi un professionista affermato con figli grandi. Il primogenito ha studiato in Polonia e ha deciso di rimanervi dopo gli studi.Il secondo è appena tornato da Budapest dopo aver terminato un corso triennale di fotografia. Durante il pasto ci chiedono dove festeggeremo il Natale. Rispondiamo che avevamo pensato di farlo con le suore che vivono in parrocchia ma siccome entrambe le loro comunità sono in quarantena per via di alcuni casi di Covid, lo celebreremo in casa noi tre da soli. " Non se ne parla affatto"  interviene Noémia, la moglie di Rafael. “Domani organizziamo un pranzo per una ventina di persone a casa nostra per cui dovete assolutamente unirvi a noi!” Rispondo per tutti dicendo che di fronte a un invito così pressante resta solo l’accettazione incondizionata e ci congediamo dandoci l’appuntamento per l’indomani.

25 dicembre. Natale

Processione d'entrata
Il giorno di Natale inizia con un bellissimo cielo azzurro e con temperature notevoli già alle 7 del mattino. La messa comincia alle 8, neanche a farlo apposta nella chiesa in costruzione della comunità di Noémia e Rafael. Presiedo l’eucarestia e concelebra con me il mio confratello Bernhard. Durante la messa battezziamo due adulti e tre bambine. All’inizio la vedo dura perché, a parte una misera tettoia sopra l’altare, siamo tutti sotto il sole cocente. Poi qualcuno lassù ha pietà di noi e manda una copertura nuvolosa che ci protegge fino alla fine della celebrazione.
Messa "open"

Dopo aver salutato le persone presenti (forse una cinquantina) siamo ripartiti alla volta della casa di Rafael dove era stato preparato un vero e proprio banchetto. I nostri anfitrioni erano anche i padrini delle due donne battezzate durante la messa per cui anche loro e alcuni famigliari erano presenti al banchetto.

26 dicembre (Sacra famiglia)

La mattina è grigia e il cielo minaccia pioggia ma in effetti non cadranno che poche gocce. Ritorno alla sede centrale per la messa delle 8. Dalla casa dei Salvatoriani, dove siamo temporaneamente alloggiati, ci sono circa 8 km e la strada è buona e praticamente deserta a quell’ora. Non sono che un ricordo le file interminabili di persone in attesa davanti ai negozi e agli sportelli ATM di appena 36 ore prima. Come sempre, e come in molte parti del mondo, sono caduti nel vuoto gli appelli per un approccio più razionale agli acquisti in concomitanza con le festività. Quello che fa sorridere (amaramente) è che nei luoghi pubblici (chiese comprese) sono in atto severi protocolli di sicurezza e prevenzione mentre negozi e mezzi di trasporto sono presi d’assalto da numeri impressionanti di persone, in barba ad ogni regola e anche al buon senso. Non ci sono dubbi che la variante Omicron si stia propagando ad una velocità pazzesca ma siccome sono pochissimi i casi gravi, c’è una sorte di rassegnazione di fronte all’inevitabilità del contagio su larga scala.

martedì 21 dicembre 2021

10 -21 dicembre Avvicinamento a Boane

 


Il giorno 10 Bernhard ha deciso di trasferirsi in casa dei padri Salvatoriani che abitano a 7/8km da Boane mentre io ho fatto un po’ di avanti indietro da Maputo per via di varie faccende da sistemare e alcuni impegni presi in precedenza. 

I lavori procedono ora ad un ritmo più serrato e non è detto che non riusciamo ad entrare in casa “nostra” in un tempo ragionevolmente breve (io spero 2 settimane al massimo). Per un po’ di tempo saremo ancora accampati ma stando sul posto si migliorerà qualcosa ogni giorno. Pian piano e con un po’ di aiuti che arriveranno (a questo proposito ho anche presentato un mini-progetto sul nostro sito https://www.missionaridafrica.org/mozambico-recupero-casa-di-boane/ ) speriamo di rendere la nostra residenza un posto accogliente e decente.

La casa è a un solo km dalla strada provinciale ma uno si sente in campagna. La città di Boane in sé non offre nulla di attraente: il grosso agglomerato che ora conta più di 100 mila persone è nata ai bordi della strada principale che va verso il regno di Eswatini. Fino all’indipendenza del paese (1975) la realtà più importante era il Centro di addestramento militare per la formazione di ufficiali e la popolazione contava qualche migliaia di persone. Oggi è un territorio investito da un’inarrestabile processo di urbanizzazione con tutte le problematiche che ciò può comportare.




Ieri il presidente ha annunciato che le misure implementate qualche mese fa rimarranno vigore (capacità limitati per luoghi di aggregazione come chiese, palestre,etc., obbligo della mascherina in qualsiasi locale pubblico, chiusura della spiaggie più popolari, proibizione di vendita di bevande alcoliche nel fine settimana e divieto di cercolazione da mezzanotte alle 5 con 2 eccezioni: la notte di Natale e l'ultimo dell'anno. 

I casi di Covid stanno aumentanto esponnenzialmente (una decina  casi al giorno all'inizio del mese e ora quasi mille). Praticamente a zero il numero di morti accertati. 

3-9 dicembre BEIRA/Inhamizwa

 

Il giorno 2 è arrivato il mio confratello Bernhard Wernke, un tedesco di 2 metri per 130 chili. Il suo viaggio con la TAP (compagnia di bandiera portoghese) era stato annullato per via della paura della diffusione della variante Omicron e quindi ha dovuto cercare un altro volo che lo ha tenuto in ballo per quasi 24 ore. Tra l’altro il suo arrivo è coinciso con una delle giornate più calde registrate finora a Maputo (quasi 40°) per cui l’impatto è stato notevole.

La mattina del 3 ci siamo subito attivati per presentare alla segretaria della Nunziatura i vari documenti richiesti per il permesso di lavoro e il pomeriggio ho preso l’aereo per Beira. Il giorno 4 infatti, ho concelebrato a un matrimonio dove si è sposata la figlia di un mio collaboratore che avevo unito in matrimonio nella stessa chiesa esattamente trent’anni fa! La cerimonia è durata 2 ore (11-13)e alla fine eravamo tutti esausti per via del caldo atroce, della sete e della fame che cominciava a far brontolare lo stomaco. Il ricevimento è cominciato verso le 17, in un ampio salone dove però le regole sul distanziamento e sull’uso della mascherina in un luogo chiuso sono state ignorate alla grande.

Ho soggiornato nella nostra casa di Inhamizwa, a circa 25 km dal centro di Beira. Lì, il giorno 8, festa dell’Immacolata, abbiamo avuto un incontro di quasi tutti i Padri Bianchi presenti in Mozambico. è stata una bella occasione per incontrare molte facce nuove e rivedee volti conosciuti anni fa. MI ha colpito il fatto che al mio primo arrivo in Mozambico non c’era nessun confratello africano tra di noi mentre ora siamo rimasti, letteralmente, due mosche bianche!


A sx, l'amico Alfredo, fiero papà della sposa


Con l'amico Celestino, nel cortile della casa dei padri a Inhamizwa



A Beira molte case portano ancora le ferite del ciclone Idai del 2019


26-28 novembre Santa Maria

 


Con gli amici Bertrand e Coco e i loro due bambini si parte alla volta del promontorio di Santa Maria, a circa un’ora di motoscafo da Maputo. La traversata è stata un po’ movimentata per via del mare agitato. I due bambini avevano un po’ paura all’inizio anche per la brutta avventura che gli è capitata un anno fa quando un’onda anomala li ha sbalzati in mare e rischiato di far affondare il motoscafo del papà. Poi man mano che guadagnavamo il largo e il mare si calmava, la bambina si è tranquillizzata e il piccolo si è addormentato.

Abbiamo trovato la località semideserta; l’ondata dei turisti, soprattutto sudafricani, è attesa da metà dicembre in poi ma bisognerà vedere se non scatterà un’altra emergenza. Qui la spiaggia è aperta al pubblico (anche perché sempre poco affollata anche nell’alta stagione) mentre quelle dove si rischia di avere una massiccia concentrazione di persone sono chiuse da vari mesi.







giovedì 2 dicembre 2021

Mercoledì 23 novembre. Cresime

 


Oggi torno a Boane, sempre in compagnia di Dom (titolo che si dà ai vescovi negli ambienti lusofoni) Francisco. Questa volta è per la Cresima di 80 ragazzi/giovani, rimandata più volte per via della pandemia e finalmente fissata anche se in mezzo alla settimana. Questo è il primo gruppo a cui ne seguirà domani un altro di 70 .

La celebrazione si svolge all’aperto e per fortuna non c’è né un sole cocente né la pioggia come il giorno precedente. La messa è celebrata in Portoghese mentre i canti sono per lo più in Shangana, la lingua del posto. La parrocchia è molto estesa e si estende su un’area di circa 820 kmq (la metà di quella della zona metropolitana di Milano) e oltre alla sede principale, in città, è costituita da 20 piccole e grandi comunità di base (chiamte “nuclei”) dove i fedeli si trovano regolarmente per pregare insieme, riflettere, analizzare bisogni e problemi. Probabilmente la pandemia ha interrotto la regolarità degli incontri ma lo scopriremo solo visitando la zona.

Da un paio d’anni non ci sono sacerdoti a tempo pieno anche se due membri dell’istituto dei Salvatoriani che abitano a una decina di chilometri vi prestano servizio regolare.

Nella sua omelia in portoghese dom Francisco ha invitato i cresimandi a ringraziare il Signore per i doni ricevuti e li ha incoraggiati ad abbracciare con sempre più coraggio e determinazione quello che ha definito “uno stile di vita cristiano” praticando le buone opere soprattutto per quel che riguarda l’attenzione ai poveri e ai bisognosi che sono molti e in costante aumento.

Alla fine della celebrazione, all’arcivescovo e a un ristretto numero di invitati,  è stato servito il pranzo all’interno della chiesa che funge anche da salone parrocchiale.