martedì 28 dicembre 2021

24-26 dicembre

 

24. Vigilia di Natale

In parrocchia siamo rimasti in 3. I luoghi di preghiera sono 21, alcuni con una cappella in muratura, altri sotto un albero. Le comunità variano di molto in dimensione e per questo, finora, nei giorni di festa si tende a privilegiare quelle più numerose.

La chiesetta di Boane risalente agli anni 50
Il 24 sera celebro in quella che è chiamata la sede centrale, dove si trovano gli uffici parrocchiali e una piccola chiesetta che risale al tempo coloniale. Vicino c’è un salone parrocchiale che è anche adibito a chiesa. Ma, in quest’epoca dominata dal Covid, tempo permettendo, si celebra all’aperto dove è sempre più fresco e areato che all’interno del capannone.

La messa della notte comincia alle 19, dopo che è sceso il buio. Prima della celebrazione ho avuto, durante un’ora e mezzo, una fila ininterrotta di persone che sono venute per ricevere il sacramento della riconciliazione.

Non c’è il pienone nel piazzale dietro la chiesa ma in ogni caso l’atmosfera è allegra e il piccolo coro trascina l’assemblea con canti in portoghese e xangana, accompagnati dal ritmico rullare dei tamburi. Sotto la potente lampada al neon la tovaglia bianca sull’altare comincia a pullulare di insetti neri di tutte le fogge. Attratti dalla luce sopra l'altare finiscono inevitabilmente per cadere in basso. Calice e patena vanno mantenuti rigorosamente coperti per evitare insalate russe poco appetibili!

Dopo la messa passo a prendere Bernhard perché siamo invitati a cena da una famiglia. Il papà, Rafael, cinquant’anni, è nato a Beira e l’ho conosciuto quando, diciottenne, faceva parte del gruppo dei giovani di São Benedito. Dopo aver conseguito la laurea in veterinaria è oggi un professionista affermato con figli grandi. Il primogenito ha studiato in Polonia e ha deciso di rimanervi dopo gli studi.Il secondo è appena tornato da Budapest dopo aver terminato un corso triennale di fotografia. Durante il pasto ci chiedono dove festeggeremo il Natale. Rispondiamo che avevamo pensato di farlo con le suore che vivono in parrocchia ma siccome entrambe le loro comunità sono in quarantena per via di alcuni casi di Covid, lo celebreremo in casa noi tre da soli. " Non se ne parla affatto"  interviene Noémia, la moglie di Rafael. “Domani organizziamo un pranzo per una ventina di persone a casa nostra per cui dovete assolutamente unirvi a noi!” Rispondo per tutti dicendo che di fronte a un invito così pressante resta solo l’accettazione incondizionata e ci congediamo dandoci l’appuntamento per l’indomani.

25 dicembre. Natale

Processione d'entrata
Il giorno di Natale inizia con un bellissimo cielo azzurro e con temperature notevoli già alle 7 del mattino. La messa comincia alle 8, neanche a farlo apposta nella chiesa in costruzione della comunità di Noémia e Rafael. Presiedo l’eucarestia e concelebra con me il mio confratello Bernhard. Durante la messa battezziamo due adulti e tre bambine. All’inizio la vedo dura perché, a parte una misera tettoia sopra l’altare, siamo tutti sotto il sole cocente. Poi qualcuno lassù ha pietà di noi e manda una copertura nuvolosa che ci protegge fino alla fine della celebrazione.
Messa "open"

Dopo aver salutato le persone presenti (forse una cinquantina) siamo ripartiti alla volta della casa di Rafael dove era stato preparato un vero e proprio banchetto. I nostri anfitrioni erano anche i padrini delle due donne battezzate durante la messa per cui anche loro e alcuni famigliari erano presenti al banchetto.

26 dicembre (Sacra famiglia)

La mattina è grigia e il cielo minaccia pioggia ma in effetti non cadranno che poche gocce. Ritorno alla sede centrale per la messa delle 8. Dalla casa dei Salvatoriani, dove siamo temporaneamente alloggiati, ci sono circa 8 km e la strada è buona e praticamente deserta a quell’ora. Non sono che un ricordo le file interminabili di persone in attesa davanti ai negozi e agli sportelli ATM di appena 36 ore prima. Come sempre, e come in molte parti del mondo, sono caduti nel vuoto gli appelli per un approccio più razionale agli acquisti in concomitanza con le festività. Quello che fa sorridere (amaramente) è che nei luoghi pubblici (chiese comprese) sono in atto severi protocolli di sicurezza e prevenzione mentre negozi e mezzi di trasporto sono presi d’assalto da numeri impressionanti di persone, in barba ad ogni regola e anche al buon senso. Non ci sono dubbi che la variante Omicron si stia propagando ad una velocità pazzesca ma siccome sono pochissimi i casi gravi, c’è una sorte di rassegnazione di fronte all’inevitabilità del contagio su larga scala.

martedì 21 dicembre 2021

10 -21 dicembre Avvicinamento a Boane

 


Il giorno 10 Bernhard ha deciso di trasferirsi in casa dei padri Salvatoriani che abitano a 7/8km da Boane mentre io ho fatto un po’ di avanti indietro da Maputo per via di varie faccende da sistemare e alcuni impegni presi in precedenza. 

I lavori procedono ora ad un ritmo più serrato e non è detto che non riusciamo ad entrare in casa “nostra” in un tempo ragionevolmente breve (io spero 2 settimane al massimo). Per un po’ di tempo saremo ancora accampati ma stando sul posto si migliorerà qualcosa ogni giorno. Pian piano e con un po’ di aiuti che arriveranno (a questo proposito ho anche presentato un mini-progetto sul nostro sito https://www.missionaridafrica.org/mozambico-recupero-casa-di-boane/ ) speriamo di rendere la nostra residenza un posto accogliente e decente.

La casa è a un solo km dalla strada provinciale ma uno si sente in campagna. La città di Boane in sé non offre nulla di attraente: il grosso agglomerato che ora conta più di 100 mila persone è nata ai bordi della strada principale che va verso il regno di Eswatini. Fino all’indipendenza del paese (1975) la realtà più importante era il Centro di addestramento militare per la formazione di ufficiali e la popolazione contava qualche migliaia di persone. Oggi è un territorio investito da un’inarrestabile processo di urbanizzazione con tutte le problematiche che ciò può comportare.




Ieri il presidente ha annunciato che le misure implementate qualche mese fa rimarranno vigore (capacità limitati per luoghi di aggregazione come chiese, palestre,etc., obbligo della mascherina in qualsiasi locale pubblico, chiusura della spiaggie più popolari, proibizione di vendita di bevande alcoliche nel fine settimana e divieto di cercolazione da mezzanotte alle 5 con 2 eccezioni: la notte di Natale e l'ultimo dell'anno. 

I casi di Covid stanno aumentanto esponnenzialmente (una decina  casi al giorno all'inizio del mese e ora quasi mille). Praticamente a zero il numero di morti accertati. 

3-9 dicembre BEIRA/Inhamizwa

 

Il giorno 2 è arrivato il mio confratello Bernhard Wernke, un tedesco di 2 metri per 130 chili. Il suo viaggio con la TAP (compagnia di bandiera portoghese) era stato annullato per via della paura della diffusione della variante Omicron e quindi ha dovuto cercare un altro volo che lo ha tenuto in ballo per quasi 24 ore. Tra l’altro il suo arrivo è coinciso con una delle giornate più calde registrate finora a Maputo (quasi 40°) per cui l’impatto è stato notevole.

La mattina del 3 ci siamo subito attivati per presentare alla segretaria della Nunziatura i vari documenti richiesti per il permesso di lavoro e il pomeriggio ho preso l’aereo per Beira. Il giorno 4 infatti, ho concelebrato a un matrimonio dove si è sposata la figlia di un mio collaboratore che avevo unito in matrimonio nella stessa chiesa esattamente trent’anni fa! La cerimonia è durata 2 ore (11-13)e alla fine eravamo tutti esausti per via del caldo atroce, della sete e della fame che cominciava a far brontolare lo stomaco. Il ricevimento è cominciato verso le 17, in un ampio salone dove però le regole sul distanziamento e sull’uso della mascherina in un luogo chiuso sono state ignorate alla grande.

Ho soggiornato nella nostra casa di Inhamizwa, a circa 25 km dal centro di Beira. Lì, il giorno 8, festa dell’Immacolata, abbiamo avuto un incontro di quasi tutti i Padri Bianchi presenti in Mozambico. è stata una bella occasione per incontrare molte facce nuove e rivedee volti conosciuti anni fa. MI ha colpito il fatto che al mio primo arrivo in Mozambico non c’era nessun confratello africano tra di noi mentre ora siamo rimasti, letteralmente, due mosche bianche!


A sx, l'amico Alfredo, fiero papà della sposa


Con l'amico Celestino, nel cortile della casa dei padri a Inhamizwa



A Beira molte case portano ancora le ferite del ciclone Idai del 2019


26-28 novembre Santa Maria

 


Con gli amici Bertrand e Coco e i loro due bambini si parte alla volta del promontorio di Santa Maria, a circa un’ora di motoscafo da Maputo. La traversata è stata un po’ movimentata per via del mare agitato. I due bambini avevano un po’ paura all’inizio anche per la brutta avventura che gli è capitata un anno fa quando un’onda anomala li ha sbalzati in mare e rischiato di far affondare il motoscafo del papà. Poi man mano che guadagnavamo il largo e il mare si calmava, la bambina si è tranquillizzata e il piccolo si è addormentato.

Abbiamo trovato la località semideserta; l’ondata dei turisti, soprattutto sudafricani, è attesa da metà dicembre in poi ma bisognerà vedere se non scatterà un’altra emergenza. Qui la spiaggia è aperta al pubblico (anche perché sempre poco affollata anche nell’alta stagione) mentre quelle dove si rischia di avere una massiccia concentrazione di persone sono chiuse da vari mesi.







giovedì 2 dicembre 2021

Mercoledì 23 novembre. Cresime

 


Oggi torno a Boane, sempre in compagnia di Dom (titolo che si dà ai vescovi negli ambienti lusofoni) Francisco. Questa volta è per la Cresima di 80 ragazzi/giovani, rimandata più volte per via della pandemia e finalmente fissata anche se in mezzo alla settimana. Questo è il primo gruppo a cui ne seguirà domani un altro di 70 .

La celebrazione si svolge all’aperto e per fortuna non c’è né un sole cocente né la pioggia come il giorno precedente. La messa è celebrata in Portoghese mentre i canti sono per lo più in Shangana, la lingua del posto. La parrocchia è molto estesa e si estende su un’area di circa 820 kmq (la metà di quella della zona metropolitana di Milano) e oltre alla sede principale, in città, è costituita da 20 piccole e grandi comunità di base (chiamte “nuclei”) dove i fedeli si trovano regolarmente per pregare insieme, riflettere, analizzare bisogni e problemi. Probabilmente la pandemia ha interrotto la regolarità degli incontri ma lo scopriremo solo visitando la zona.

Da un paio d’anni non ci sono sacerdoti a tempo pieno anche se due membri dell’istituto dei Salvatoriani che abitano a una decina di chilometri vi prestano servizio regolare.

Nella sua omelia in portoghese dom Francisco ha invitato i cresimandi a ringraziare il Signore per i doni ricevuti e li ha incoraggiati ad abbracciare con sempre più coraggio e determinazione quello che ha definito “uno stile di vita cristiano” praticando le buone opere soprattutto per quel che riguarda l’attenzione ai poveri e ai bisognosi che sono molti e in costante aumento.

Alla fine della celebrazione, all’arcivescovo e a un ristretto numero di invitati,  è stato servito il pranzo all’interno della chiesa che funge anche da salone parrocchiale.  












Martedì 22. Cerimonia funebre

 

Oggi vado a Boane in compagnia dell’Arcivescovo Francesco per il funerale di un giovane che viveva nella comunità dei padri Salvatoriani che hanno portato avanti la parrocchia negli ultimi due anni. Causa della morte: complicazioni dovute al sistema immunitario pesantemente indebolito dal Covid 19 che aveva contratto agli inizi dell’anno.


Sono le 7.30 del mattino e mentre attendo che l’arcivescovo finisca di prepararsi, la suora alla reception annuncia l’arrivo del “motorista”, l’autista mandato dalla parrocchia a prenderci. Alzo gli occhi e in controluce vedo un  uomo che mi chiama per nome ma che, anche a causa della mascherina che indossa, non riesco a riconoscere. Quando l’abbassa e con un grande sorriso mi dice “ Sono Rafael!” riconosco immediatamente la persona che più di trent’anni fa faceva parte del gruppo giovani della parrocchia di São Benedito dove cominciai la mia esperienza missionaria. Adesso è un uomo sposato, fa il veterinario e vive nella parrocchia di Boane. Sono rimasti intatti i modi gentili e la voce sommessa che aveva fin da ragazzo.

L'arcivescovo incensa la bara
In chiesa siamo un po’ stipati, anzi troppo, considerando le misure restrittive ancora in vigore. Tutti sono mascherati e girano bottigliette di disinfettante per le mani. Noto una cospicua presenza di militari in uniforme e non mi spiego il perché pur sapendo che dall’altra parte della strada c’è un esteso insediamento militare. Solo dopo la messa qualcuno mi dirà che il papà dello sfortunato è un militare di professione che risiede nell’accampamento.

Al camposanto 
Durante la cerimonia comincia a cadere una pioggia minuta ma molto fitta che ci accompagnerà per buona parte della giornata. Al termine riprendiamo la macchina e ci avviamo sulla strada che conduce al cimitero. Noi siamo tra i primi ma ci vuole un po’ prima che tutta la comitiva arrivi sul posto. Nel frattempo sono bagnato fradicio e rimpiango di aver dimenticato l’ombrello a casa. Le preghiere, il saluto finale e il riempimento della fossa (a mano) richiedono un bel po’ di tempo. Continua a piovere e non sapendo bene a che ora finirà il tutto mi guardo in giro e incrocio lo sguardo del buon Rafael che capisce al volo. Si avvicina, mi allunga le chiavi della macchina e mi consiglia di mettermi al riparo. Una volta in vettura non trovo niente di asciutto da mettermi e allora indosso di nuovo il camice della messa che mi terrò per il resto della giornata.

Dopo un bel po’, sguazzando sul sentiero divenuto fangoso, arrivano gli altri miei compagni e ripartiamo, questa voltain direzione dell’accampamento. Sotto una grande tenda militare trovano posto un centinaio di persone. Altre preghiere e poi il pranzo è servito. Quando prendiamo il commiato sono le 2 passate e arriviamo in città alle 3 e mezzo. Siamo partiti alle 7.30.

mercoledì 17 novembre 2021

Permesso di lavoro. Telenovela (in)finita

 Ieri è stata una giornata molto calda a Maputo, con una temperatura percepita attorno ai 40°. Avevo un appuntamento all’Ufficio immigrazione per le 12,45 (certamente non l’ora più fresca del giorno). Dopo aver raccolto gli ultimi due documenti che mancavano, mi presento in bermuda fino al ginocchio (più che dignitosi) e maglietta. All’entrata c’è un addetto alla sicurezza che controlla la temperatura corporea. Mi squadra e mi dice che non posso entrare. Lo guardo allibito egli chiedo perché. “Perché qui gli uomini entrano solo con i pantaloni lunghi” mi risponde. In quell’istante mi ricordo che in Mozambico entrare in un ufficio pubblico richiede lo stesso abbigliamento che per un luogo di culto.

Venditore di ricariche telefoniche
Venditore di ricariche per cellulari
L’alternativa è quella di tornare a casa sfidando il traffico micidiale di Maputo e rischiando di arrivare in ritardo all’appuntamento. Un ragazzino lì accanto, che sta vendendo ricariche per cellulari (sistema molto pratico: se il tuo credito telefonico sta per esaurirsi, praticamente a ogni angolo c’è qualcuno che ti vende codici di ricarica di vario taglio) e che ha ascoltato lo scambio, mi vede per un momento smarrito e mi dice: “Amico, non c’è problema, c’è là Erminio che affitta pantaloni!” e con questo mi indica un giovanotto sul lato opposto del marciapiede. Mi avvicino, sicuro di essere capitato in una di quelle situazioni da telecamera nascosta, ma il bravo Erminio ha già affondato la mano in uno zainetto e ne estrae un paio di jeans, apparentemente puliti, e mi dice: “150 meticais (2 euro) per tutto il giorno!” Sempre con la sensazione che qualcuno mi stia filmando di nascosto, mi infilo i jeans sopra i bermuda tra l’indifferenza generale dei passanti e sentendomi come in un’armatura (il tessuto è così spesso da poter fermare un proiettile!) mi avvicino di nuovo all’entrata. Questa volta non c’è nessun problema, nonostante i pantaloni siano sostanzialmente appesi attorno alla vita visto che non sono riuscito a chiudere né la cerniera né il bottone in alto.

Entro e mi trovo in uno stanzone coperto da lamiere ondulate. Mi metto in fila davanti a un tavolino dov’è seduto un funzionario. Il pavimento è in cemento ma l’area davanti alla scrivania è una buca rettangolare piena di sabbia (come per il salto in lungo) e ancora stamattina me ne sto domandando la ragione. Non ci sono numeri da staccare all’entrata per cui si avanza in una fila più o meno ordinata ma costantemente “attaccata” ai lati dai soliti furbi che vengono regolarmente respinti dal funzionario ma che esercitano una costante azione di disturbo. Di conseguenza il suo lavoro è pesantemente rallentato e la fila avanza a passo di lumaca.
Un chapa. Questi minibus, omnipresenti, garantiscono
il trasporto urbano in quasi tutte le città africane
Dopo circa tre quarti d’ora consegno il tutto (una decina di documenti) e tiro un sospiro di sollievo perché mi si dice che non manca nulla. Adesso si tratta solo di aspettare per la foto segnaletica, le impronte digitali e, chiaro, il pagamento. Mentre aspetto su una panchina di ferro surriscaldata (ormai l’impressione è quella di essere in un bagno turco)  vedo passare una giovane coppia di portoghesi: lui in bermuda come me e lei con dei pantaloncini striminziti. Mi dico che la legge è per tutti o per nessuno e procedo, sempre tra l’indifferenza generale, a sfilarmi i jeans e a sentirmi subito meglio. Sono ormai le 16 e 30 e mi sto quasi appisolando su una panchina nella sezione dove possono entrare solo i funzionari e quelli che hanno consegnato le pratiche quando qualcuno si avvicina chiedendomi che fine hanno fatto i suoi pantaloni. Riconosco Erminio che mi spiega che deve prendere un chapa (minibus che sostituisce gli autobus che praticamente non ci sono) e tornare a casa perché la sua giornata è finita. Restituisco i jeans corazzati, pago, ringrazio per l’assistenza provvidenziale e suggerisco un piccolo miglioramento: tessuto più leggero e niente zip o bottoni, solo un elastico per tutte le taglie. Erminio dice che non è una brutta idea e ci penserà.

Ormai verso le 5, e quando penso che oggi non ce la farò, mi chiamano per terminare la pratica. Al momento del pagamento estraggo i contanti per infilarli in una delle casse automatiche ma mi viene deto che è rischioso perché dopo le 5(!) le casse sono piene (!) e rischio di non poter concludere la transazione. L’idea di un’altra odissea mi fa velocemente estrarre la carta di credito che per fortuna viene accettata dal sistema. Al ritorno a casa dopo una doccia ristoratrice e un’abbondante reidratazione, trovo un piatto di penne al ragù e un bicchiere di Vermentino della Sardegna che mi riconciliano con il mondo.

Finisce così un’avventura cominciata a giugno per raccogliere tutti i documenti necessari ad ottenere un visto di lavoro per il Mozambico. Senza contare le ore che questo ha richiesto c’è il costo: 350 euro per il visto e 100 per la traduzione asseverata del certificato penale e per fortuna un amico notaio ha regalato un paio di autentificazioni che sarebbero certamente costate sulle 200 euro. Una volta entrati nel Paese si hanno 30 giorni (compresi sabato, domeniche e festivi) per ottenere un’estensione annuale del visto. Questo comporta processioni varie tra Nunziatura, Arcidiocesi, Ministero della Giustizia e degli Affari Religiosi per poi approdare al famigerato Ufficio Migrazione. Qui, dopo la gimcana descritta sopra e dopo pagamento di altre 450 euro più l’inevitabile multa che il richiedente deve pagare perché è quasi impossibile avere tutto entro i 30 giorni previsti, finalmente si ha un pezzo di carta nel passaporto che ti permette di stare tranquillo per un anno.  Ad aggravare il problema per noi religiosi è il fatto che tutto deve passare dalla nunziatura a Maputo per via di un concordato firmato nel 2019 e che secondo me, memore di quello che era l’iter nel passato, ha solo complicato le cose. In ogni caso, anche se non è un'esperienza piacevole, ho provato sulla mia pelle, anche se in forma minima e con disagio sopportabile, quello che milioni di persone devono affrontare in tutto il mondo per entrare e rimanere legalmente in un Paese che non è il loro. 

Una banconota di mille meticais.
Un euro vale circa 75 meticais (plurale di
metical)

Qualcuno si domanderà perché i missionari abbiano bisogno di un visto di lavoro dato che non solo non vengono pagati dalle diocesi che hanno grossi problemi anche solo a stipendiare i preti diocesani, ma in genere aiutano la realtà in cui operano tramite progetti e donazioni. Purtroppo questa è al momento la situazione per cui il visto ha lo stesso prezzo sia per qualcuno che lavori per una grande multinazionale petrolifera ( che oltre a percepire un ottimo salario viene spesato dall’impresa) che per uno che faccia sostanzialmente del volontariato.